• 01/21/2025

Una “Madonna Pellegrina”

Si parla di S. Maria delle Fratte a S. Massimo

di APS La Terra

21 Gennaio 2025

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È un’immagine antichissima, risalente a Giunone, la Madre degli Dei, quella della Madre di Dio seduta in trono. A differenza della divinità pagana la Madonna “nostrana” non ha una sede fissa spostandosi 2 volte all’anno dalla chiesa urbana a quella rurale e ciò ci fa capire che il suo culto è indipendente dall’architettura religiosa che la ospita. 

Seppure crollasse il nostro edificio religioso, ipotesi inverosimile, è un ragionamento per assurdo, il culto di questa Madonna, S. Maria delle Fratte, non ne risentirebbe. La devozione popolare è per Lei, non è per la chiesa in cui è collocata tant’è che l’attaccamento a Lei rimane invariato sia se sta nella parrocchiale, e ciò avviene in estate, sia se è collocata nella Cappella “fuori porta”. Certo, la chiesetta rurale fornisce una contestualizzazione migliore per questa “versione” della Madre di Dio, l’attributo “delle Fratte” si addice maggiormente a tale Maria trovandosi il luogo di culto in un posto caratterizzato dalla presenza di siepi, appunto fratte. L’invocazione diretta a Lei la definisce, è riportata in un cartiglio sopra l’altare che sta qui, flos campi, fiore del campo.

La specificazione “delle Fratte” serve oltre che all’identificazione della Santa, S. Maria, quale protettrice della campagna, anche ad una Sua personalizzazione; i sanmassimesi venerano proprio tale Madonna, quasi che Ella sia distinta da tutte le altre, che è poi una sola, si appropriano della Vergine nella speciale veste di tutrice del mondo agreste, Ella è la loro patrona “in esclusiva”. Le Madonne sono tante, anche se è beninteso unica, e ciò non deve apparire paradossale, si tratta semplicemente di diversi modi di chiamarla, non di disconoscere che la Genitrice di Nostro Signore sia sempre la stessa. Gli appellativi variano durante l’anno, nel calendario ecclesiastico compaiono numerose Madonne quasi per tenerla sempre al centro dell’attenzione, se così si può dire, dei credenti. Si va, non in ordine cronologico, dalla Madonna dell’Assunta all’Incoronata all’Immacolata alla Madonna delle Grazie, e così via.

Le Sue denominazioni si modificano su base geografica, spesso si legano alla vegetazione predominante in quel sito come S. Maria di Canneto, S. Maria delle Macchie e, appunto, S. Maria delle Fratte (che poi fratta e macchia significano la medesima cosa), alla morfologia, la Madonna del Monte, Cercemaggiore, e quella del Piano, Frosolone, all’idrografia, S. Maria dei Rivoli, alla viabilità, S. Maria della Strada ecc. ecc. Ogni comunità piuttosto che ogni persona ne “adotta” una quale oggetto di venerazione privilegiata, non perché creda che sia una Madonna, in qualche modo, a sé stante, da non confonderla con il resto delle Madonne, ma per avere con Lei, con la prescelta, un rapporto diretto, di tipo personale, meglio comunitario, di sentirsi a tu per tu con una definita Entità Divina cui rivolgere le proprie preghiere.

Il fatto stesso che si preferisce chiamarla S. Maria delle Fratte e non Madonna delle Fratte, usare il nome proprio e non la qualificazione, il termine Madonna sta per signora, è significativo del desiderio di avere un contatto intimo, quanto meno possibile distaccato, con la Divinità. Negli ultimi tempi è ritornata a galla una teoria, che probabilmente ha validità dal punto di vista dottrinale che S. Maria delle Fratte coincida con S. Maria delle Grazie, nonostante, lo si fa notare, che le date in cui si festeggiano sono differenti, la prima a settembre la seconda a luglio. Deve essere, comunque, così se anche nella seconda metà del 1800 si voleva scambiare la statua di S. Maria delle Grazie, appena scolpita, con quella di S. Maria delle Fratte considerata troppo vetusta come statua da portare in processione verso la Cappella nel giorno dedicato a Quest’ultima.

Si racconta che il sagrestano il mattino della festa nell’aprire il portone della chiesa-madre trovò all’ingresso la statua di S. Maria delle Fratte pronta per uscire, per partecipare al corteo processionale il che spinse a gridare al miracolo, il segno che fosse volontà di tale Madonna di essere portata fuori dalla chiesa. La statua di S. Maria delle Fratte, è seduta in trono, è ben più antica di quella di S. Maria delle Grazie, è all’impiedi, che è del XIX secolo. L’amore della gente del posto, che la denomina affettuosamente “madonnina”, per questa effigie non è mutato neanche dopo che quella originaria prese fuoco (un lacerto è conservato presso il Museo Nazionale di Venafro) e fu sostituita con una copia.

Cambia la sostanza con cui è fatta la statua, legno nuovo contro legno vecchio, ma non cambia la sostanza, rimane identica l’immagine e a questo punto, a questo proposito, occorre inserire, facendo una digressione, una considerazione generale sulle figurazioni sacre, quelle statuarie. Le sculture che riproducono divinità possono essere di due tipi, mere rappresentazioni delle figure dei santi, magari compresi in gruppi scultorei con più personaggi o se isolate intenti a compiere un particolare atto, cioè soggetti di un racconto, o ritratti, che seppure a tutto tondo richiamano le icone della religione ortodossa; come queste ultime tale tipologia di statue, di frequente in atteggiamento ieratico, ci fanno sentire in presenza del santo, le raffigurazioni alla stregua di vere e proprie epifanie. Se c’è una differenza è che nelle icone vi è solo il volto, dipinto, nelle statue vi è il corpo tutto intero, scolpito.

I latini distinguevano la ritrattistica tra quella destinata ad salutationem e quella ad memoriam, ovvero rispettivamente alla venerazione (inchino) e al ricordo. Che la statua della nostra Madonna appartiene alla prima categoria è attestata dal fatto che essa viene durante le celebrazioni ricoperta di monili preziosi fin quasi ad occultare alla vista sue porzioni. Niente a che vedere, va precisato, con i feticci, con i “falsi idoli”, senza scadere cioè nell’idolatria che è frutto di superstizione, non fosse altro che tali statue sono fonte di ispirazione, spunti per la meditazione. Con le icone questa statuaria ha in comune la possibilità di plurime repliche: la Madonna in trono con il Bambinello in braccio è un po’ uno stereotipo, una composizione scultorea che si riproduce uguale a sé stessa fin dalla notte dei tempi derivando tale iconografia dalle Mater Matuta pre-romane dalle quali differisce esclusivamente per avere in mano invece del melograno, simbolo della fertilità, il Bambin Gesù.

È uno schema compositivo rigido che privilegia la veduta frontale, dal retro si vede lo schienale del trono; esso non deve essere modificato e ciò impedisce la libertà creativa dello scultore. Per i turisti una statua devozionale quando è collocata in una nicchia è un qualsiasi elemento di arredo di una chiesa del quale apprezza le qualità estetiche non cogliendo, di certo, l’afflato, specie se pluricentenaria come era la nostra, con cui il popolo di S. Massimo si pone al suo cospetto.

(Foto: Immaginetta devozionale d’epoca con le 3 statue trasportate in processione alla Cappella)

di APS La Terra

21 Gennaio 2025

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