STORIA DI UN VIAGGIO, VIAGGIO NELLA STORIA
di Rocco Pettine
Mi domando perché ad agosto
di quest’anno ho sentito il bisogno di mettermi a camminare per 4 giorni,
insieme con altre 120 persone, raggiungendo alcuni paesi del Molise, di cui non
avrei mai immaginato l’esistenza e che non avrei mai incontrato nella vita, se
non scrutando una sia pur particolareggiata carta geografica.
Penso
che la motivazione fondamentale sia quella umana e sentimentale di stare
insieme ad amici cari ed a persone che condividono gli stessi ideali di vita,
dando un senso alla propria storia e scoprendo quella comunità e dei paesi
Molisani e Sanniti, di cui si vuole preservare l’integrità culturale e favorire
uno sviluppo compatibile con le risorse effettive del territorio.
Il
bello di questo viaggio “Cammina, Molise! 2001” è stato quello di lasciarmi
trasportare dalla corrente casuale degli incontri con le persone ed i vari
conoscitori ed esperti del posto, senza mai perdere le spiegazioni botaniche –
economiche – storiche del saggio itinerante, mitico, Prof. Lucarelli, già
conosciuto nel 1995 e 1997.
Scoprire
alcuni segreti della storia di Collotorto, di S. Giuliano di Puglia, Bonefro,
Casacalenda, Larino, Pietracupa e l’esistenza di comunità Croate nel Molise è
stato come aprire uno scrigno ed immagazzinare tesori di conoscenze:
storia Romana, Longobarda e
Angioina, usi e costumi, frammenti di archeologia (vedi i mosaici romani della
città di Larino e la facciata del Duomo).
L’immagine
pittorica dei tratturi, come autostrade del passato che consentivano
all’economia agropastorale di prosperare e sopravvivere, rimane scolpita nella
mente solo se dentro i tratturi ci cammini e ne sai riconoscere il tracciato
orografico ed i relativi confini.
Ma
la storia dei tratturi è storia dei nostri antenati, è la storia delle nostre
radici contadine, di cui forse a volte ci vergogniamo, ormai inseriti
irreversibilmente nella cultura urbana piccola e medio-borghese.
E,
non far conoscere le nostre radici ai nostri figli, credo che sia un misfatto
culturale molto dannoso perpetrato a loro sfavore.
Pertanto
mi domando in che cosa abbiamo fallito, se nel corso di questo viaggio, su 120
camminatori, i partecipanti giovani erano costituiti solo da un simpatico
dodicenne e da una signorina di 21 anni.
Dove
erano i giovani? In che cosa stiamo sbagliando? A quali fattori dobbiamo
attribuire la loro assenza?
Sono
quesiti seri sui quali dobbiamo interrogarci con preoccupazione.
Forse
siamo irrimediabilmente vittime del colonialismo culturale anglosassone, ma noi
cinquantenni dobbiamo intestardirci a non far scomparire i nostri dialetti
meridionali, perché sono ricchi di parole greche, latine, longobarde, spagnole,
francesi e quindi custodi di una storia millenaria.
Altrimenti,
il famoso fotografo italoamericano Tony Vaccaro, i cui genitori erano di
Bonefro e che è stato testimone dello sbarco in Normandia per la U.S. Army,
nonché interprete poliglotta, non avrebbe potuto salvare dalla fucilazione un
contadino che aveva tagliato i fili del telefono dell’Armata Statunitense in un
“vallone”, per legare le proprie mucche agli alberi e tentare di salvarle dalle
battaglie della II guerra mondiale.
Incontrare
a Bonefro Tony Vaccaro è stato come vedersi materializzare un pezzo importante
della storia Europea, di cui lui è stato documentatore fotografico ufficiale e
vi assicuro che ho sentito forte il desiderio, stringendogli la mano, di
ringraziarlo per aver contribuito a liberare l’Europa e il mondo intero dal
possibile, tragico, dominio della dittatura nazitedesca.
Sarebbe
stato brillantissimo ed interessantissimo un dialogo, al riguardo, tra Tony
Vaccaro ed il Professore molisano di Duronia Giancarlo D’Amico che insegna
italiano a Caen ( in Francia) presso l’Università di Normandia e che,
purtroppo, quest’anno non ha potuto partecipare con la sua simpatia alla
camminata.
Ma
l’operazione culturale che Tony Vaccaro ha voluto compiere è stata quella,
finita la guerra, di tornare dall’America a Bonefro sulle tracce della propria
storia, di quella dei suoi parenti emigrati negli USA tra la fine del 1800 ed i
primi del 1900, sviluppando una collezione di fotografie, scattate negli anni
’50 sul suo paese d’origine, di rara espressività relativamente a diversi
momenti della vita quotidiana, lavorativa e religiosa.
Tale
mostra era inserita nel contesto di un museo-collezione di storia contadina,
organizzata con intelligente meticolosità da un encomiabile professore di
filosofia sempre di Bonefro.
Entusiasmante
ho trovato l’incontro con la comunità Croata di Acquaviva Collecroce, durante
il quale ho scoperto l’etimologia e la genesi delle seguenti tre parole:
cravatta, crucco e schiavoni.
Cravatta deriva dallo slavo
‘krvat’ (croato), per il fatto che i soldati croati anticamente
portavano al collo una sciarpa.
Crucco
deriva dal serbocroato ‘kruh’ (pane), ed il nome dato ai soldati
serbocroati inseriti nell’esercito austriaco durante la I guerra mondiale, che
chiedevano il pene ai contadini veneti sul fronte di guerra, e da allora il
termine ‘crucco’ è diventato sinonimo spregiativo di chi appartiene a
popolazioni di lingua tedesca.
Schiavoni
non significa grossi schiavi, ma è la modificazione nel linguaggio parlato
della parola ‘Slavonia’, cioè degli abitanti di regioni slave che nel
corso degli ultimi otto secoli si sono insediati in Italia a seguito di eventi
storici accaduti in quelle terre.
Ora,
posso capire, ad esempio, perché esiste nel Sannio vicinissimo a Benevento un
paese che si chiama Ginestra degli Schiavoni, o perché esiste a Venezia Riva
degli Schiavoni.
Mentre
facevo queste considerazioni è successa la tragedia di New York e della guerra
in Afghanistan e nessuno mi potrà mai convincere che è proprio la non
conoscenza della Storia dei popoli, il non rispetto per l’antropologia
culturale e gli usi e costumi di tutte le etnie del mondo e l’ignoranza su come
sono strutturate le Religioni diverse della nostra, che determineranno sempre
future guerre, unitamente al disinteresse sulle condizioni economiche e
demografiche nei paesi in via di sviluppo da parte dei paesi dove, addirittura,
già ci si configura come società post-industriali.
Parlando
di religioni, mi viene in mente l’interessantissimo incontro avuto con il
parroco di Pietracupa all’interno della chiesa ipogea, scavata nella pietra,
dal valore storico immenso, se si considera che quel punto del Molise
rappresentava, purtroppo, il luogo più importante dell’Italia meridionale per
quanto riguardava le riunioni ed i processi svolti dalla santa Inquisizione nel
1500.
Questa
scoperta sulla storia di Pietracupa mi ha colpito moltissimo, così come la
visita a Casacalenda, con la perfetta acustica del suo teatro e, che, solo nel
suo nome, già viene evocata la storia dai Romani in poi.
Ma
come far capire ai nostri giovani l’importanza di conoscere profondamente la
storia delle nostre terre rimane un problema in sospeso, da approfondire da
parte degli organizzatori e degli amici del ‘Cammina, Molise!’; altrimenti,
diventa sempre più crescente il sospetto che questa lodevolissima iniziativa si
trasformi in un pretesto per assaggiare e gustare i genuini prodotti tipici che
le comunità ci offrono generosamente al nostro arrivo, piuttosto che una
occasione di fraterna socializzazione culturale e di stimolo per la rinascita
non solo economica del Sannio nel suo complesso.