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Macchiagodena

Macchiagodena è un comune di 1877 abitanti della provincia di Isernia.

 

Informazioni Generali

Fondata probabilmente nel X secolo – ma di recente sono venuti alla luce nell’agro reperti del periodo arcaico (tra gli altri, un’oinochoe di bronzo, databile tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C.) -se ne hanno le prime notizie nel 964, quando il toponimo era Maccla de Godino, evoluto nel Duecento in Maccla Godina quando erano i Cantelmo a dominare su questa parte della regione.

Il feudo passò poi alle famiglie dei Pandone di Venafro, (il re Alfonso d’Aragona, nel 1457, investì Scipione Pandone, per morte dello zio di questi, Francesco Pandone conte di Venafro, del Contado di Venafro e“delle Castelle, videlicet Prata, Crapiata, Zurlano, Tino, Pratella, Gallo, Fossaceca, Città di Bojano, Macchiagodena, Campochiaro e Rocchetta”), dei Mormile di Castelpagano, dei Gaetani di Baranello; a cavallo tra il Cinque e il Seicento si avvicendarono sei feudatari in meno di un secolo finché, nel 1615, i Piscicelli cedettero i diritti al marchese Pasquale Caracciolo; i Caracciolo vendettero infine il feudo alla famiglia Centomani, ultima casata nobiliare, cui si deve il restauro del castello.

Con le riforme del 1799 fu inserita nel dipartimento del Sangro, cantone di Baranello; otto anni più tardi passò al distretto di Isernia, governo di Castelpetroso, e nel 1815 fu aggregata al circondario di Cantalupo nel Sannio. Il castello costituisce la principale testimonianza del passato storico della comunità: costruito sulla roccia, è dotato di torrioni cilindrici ed ha subito numerosi interventi, alcuni dei quali ne hanno modificato in parte la struttura; la fondazione risale all’età longobarda o a quella angioina.
Nel campo dell’architettura sacra l’opera più importante è la chiesa di S. Nicola, anche questa origine incerta ma senz’altro antecedente al XVII secolo.

Il territorio del Comune di Macchiagodena si estende su una superficie di 36 kmq, fra un'altitudine minima di 450 m e una massima di 850. Il territorio comunale presenta una notevole varietà geomorfologica, con tratti collinari e pianeggianti nella parte meridionale alternati ad aree caratterizzate da variazioni altimetriche più brusche, in particolare nella parte occidentale, al confine con i comuni di Carpinone e Santa Maria del Molise.

Il territorio - in parte coperto di boschi ricchi di funghi, fragole, frutti di bosco e dove si trovano anche tartufi (il bianco e lo scorzone nero) – oltre alla varietà geomorfologica, presenta diversi habitat: rimboschimenti di conifere, macchie di boschi cedui, ripide pareti rocciose, dolci declivi a prato pascolo sui versanti dei colli, divenuti il regno delle farfalle.

Un vero paradiso tanto che la LIPU, intorno al selvaggio vallone Vallefredda, inserito nella zona Sic “La Montagnola”, ha costituito una riserva.
Il paese conserva ancora i suoi caratteri medievali, con le case arroccate intorno al castello, di origine longobarda, costruito su uno sperone di roccia calcarea. L’edificio a pianta poligonale, presenta le basi dei muri perimetrali e due robuste torri realizzate con blocchi di pietra squadrata a vista, è tra le fortificazioni meglio conservate in regione.

Tutto il paesaggio è dominato dal massiccio del Matese che si erge dall’altra parte della valle, di qui la denominazione di “Terrazza sul Matese”.

 

Monumenti e luoghi d'interesse

Castello

Non è possibile datare con certezza il castello, a causa dei numerosi interventi di ristrutturazione che esso ha subito.
Già intorno al IX-X secolo doveva esistere una imponente fortezza di controllo della piana di Bojano, collocata nei pressi dei valichi di Castelpetroso e Indiprete, intorno alla quale si stava insediando un primo nucleo urbano.
Nel 964 infatti i Principi Pandolfo I di Capua e Landolfo III di Benevento concessero a Landolfo di Isernia tutto il territorio circostante la città, compreso il feudo di Macchiagodena (“Maccla qui dicuntur de godini”).
La sua struttura originaria era probabilmente di forma triangolare con tre lati inaccessibili, posti a strapiombo sulla parete rocciosa.
Nel 1269, agli albori della dominazione angioina, Carlo I d’Angiò affidò Macchiagodena a Barrasio Barras, cavaliere francese che spadroneggiò nel castello. I Barras, feudatari di Ielsi e Macchiagodena, furono attori di una lunga lotta contro il duca di Frosolone.
Nel 1457 il feudo passò alla famiglia Pandone dopo essere appartenuto per quasi un secolo alla famiglia Cantelmo. Probabilmente fu Enrico Pandone, Conte di Venafro, a venderlo intorno al 1520, alla famiglia Mormile.
Nel 1585 il feudo fu acquistato dal marchese Francesco Caracciolo, la cui famiglia rimase proprietaria di Macchiagodena fino al 1781. In quell’anno infatti i creditori dei Caracciolo ottennero la vendita all’asta del feudo, che fu acquistato da Nicola Centomani, titolare fino all’eversione della feudalità.
Nel 1847 la famiglia Centomani cedette il castello ai de Lellis, che successivamente lo vendettero alla famiglia Ciocchi-de Salvio, tutt’ora proprietaria.
Per molti secoli l’edificio ebbe un’immagine sinistra e tirannica, che serviva a rafforzare e mantenere viva la potenza dei feudatari e la sudditanza del popolo nei loro confronti.
Il palazzo fu più volte lesionato a causa di calamità naturali, come i terremoti del 1349 e del 1456.
Il sisma del 1805 causò notevoli danni alla struttura, costringendo la famiglia Centomani a effettuare ingenti lavori di ristrutturazione che fecero perdere definitivamente alla fortezza le sue peculiarità militari e strategiche, trasformandola in un lussuoso palazzo baronale.
I fossati scomparvero, le torri furono ribassate e private dei merli. La loro funzione fu definitivamente stravolta quando le stesse furono adibite dalla famiglia Centomani rispettivamente a salotto e biblioteca.
La corte criminale, le sale della tortura e i trabocchetti, collocati alla base di una delle torri del castello, furono murati nel secolo scorso per volere di Armando Ciocchi, la cui intenzione era rendere l’edificio una residenza ospitale e accogliente.

 

Evoluzione demografica

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Abitanti censiti

 

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