Cultura
Lincoln
È nelle sale cinematografiche “Lincoln” di
Steven Spielberg. Di solito è difficile che ci lasciamo sfuggire un film di questo
regista che, lo sappiamo, è un vero maestro.
Le note che seguono non sono
quelle di un critico, ma di un normalissimo spettatore che cerca di trasmettere
delle sue riflessioni dopo la visione della pellicola.
L’originalità
della narrazione degli ultimi mesi della vita di Lincoln è quella di uscire da
ogni forma di mitizzazione della figura del presidente americano e dalle
idealizzazioni eccessive che spesso sono state fatte anche da tanti manuali
storici per presentarci uno statista che certamente ha grandi idealità, ma
anche profonde debolezze, così come avviene per ogni essere umano.
È per questo
che Spielberg ci mostra un Lincoln proteso a raggiungere l’approvazione del
tredicesimo emendamento della Costituzione americana per l’abolizione della schiavitù
anche a costo di compromessi, ricompense e perfino ricatti nei confronti di
alcuni parlamentari.
Siamo di
fronte ad un personaggio vicino al principio di Machiavelli “il fine giustifica
i mezzi” ed alle prese con il voto di scambio, tutto sicuramente inaccettabile
per chi pensa che i valori e le idealità si debbano realizzare solo quando sono
giunte democraticamente a maturazione
nella coscienza collettiva.
Nel film si
adombra appena il contrasto tra chi in politica vorrebbe far prevalere il
pragmatismo e quelli che invece ne vorrebbero sottolineare i fondamenti etici e
la coerenza comportamentale.
Lincoln è un
presidente deciso a fare la storia della costruzione della libertà e
dell’uguaglianza tra tutti gli americani, ripiegato spesso anche su forme di
difesa di affetti familiari soprattutto per i figli, ma sicuramente capace di
lungimiranza sul piano politico e lontano da ogni forma di interesse
personalistico legato al potere della sua persona.
Il racconto
filmico della vita di Lincoln a me sembra un po’ lungo, lento, troppo ripiegato
solo sul piano politico e familiare ed alquanto prolisso in relazione alla
vicenda della compravendita di voti dei deputati al Congresso; i dialoghi di
natura politica, invece, appaiono talora molto profondi e portati sulla scena
con una bravura recitativa che fa pensare spesso al palcoscenico di un teatro.
Certo non ci
sembra un film che apre all’ottimismo anche rispetto agli eventi politici che
si vivono oggi, perché è come se l’affermazione dell’onestà e della democrazia
allora come oggi faccia fatica a farsi strada.
Eccezionale a
nostro avviso la fotografia e soprattutto la scelta del campo corto e medio
prevalentemente in interni sempre in chiaroscuro per favorire la concentrazione
dello spettatore nei dialoghi di natura ideologica e politica.
Speriamo che
molti giovani possano vedere questo film.
Ad essi
vorremmo solo consigliare, prima della visione, così come abbiamo fatto noi, di
andare a ripercorrere su un qualsiasi testo la storia americana di quegli anni,
perché in tal modo avranno una comprensione migliore degli eventi proposti dal
film.
In questo
modo, ad esempio, si potrà capire come mai un partito, solitamente definito
conservatore, come quello repubblicano si è battuto a fine Ottocento negli
Stati Uniti per abolire la schiavitù, mentre al contrario quello democratico,
considerato progressista, si è schierato per il suo mantenimento.
La brutalità
della guerra di secessione, che attraversa tutto il film, e l’assassinio del
presidente Lincoln, che conclude la narrazione, spingono la riflessione sulle
difficoltà necessarie per la realizzazione nella storia dei grandi principi che
dovrebbero essere alla base della convivenza umana.
Dunque la
violenza vince sempre, come sembra proporre la chiusura del film?
Per fortuna
non è sempre così grazie all’impegno di grandi uomini e di tanti soggetti
magari sconosciuti che lavorano nella società per affermare gli ideali di
eguaglianza, libertà e giustizia sociale.
di Umberto Berardo
Campobasso, li 7
Febbraio 2013