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Ambiente 

 

 

LA FINE DEL MATESE


Monte Gallo è l'ultima propaggine del comprensorio matesino e, perciò, è un luogo, per così dire, di confine o di transizione tra ambienti diversi.

 



Monte Gallo è parte di una riserva demaniale regionale insieme a Monte Caruso, denominata appunto « Riserva Monte Caruso e Monte Gallo », gestita per conto della Regione dal Corpo Forestale dello Stato con l'ufficio "ex Asfd". È interessante conoscere la storia di questa proprietà che un tempo, fino al 1975, era dei Principi Pignatelli; è proprio da qui che bisogna partire per analizzare i connotati naturalistici del sito. Con l'"eversione" del feudalesimo stabilita dai francesi che allora governavano a Napoli, nel 1805 il feudatario, in questo caso i Pignatelli, da "signore utile" dell'intero feudo, qui Monteroduni, entra nel pieno possesso di una metà, mentre l'altra metà viene assegnata all'Università dei cittadini. Questi ultimi si spartiscono le superfici agrarie avendo necessità dei campi da coltivare, lasciando all'antico barone, interessato da sempre più alla rendita che allo sfruttamento agricolo, i boschi e i pascoli e, comunque, i luoghi più lontani dall'abitato, come il complesso monte Caruso-monte Gallo. Monte Gallo doveva, di certo, essere sfruttato per il pascolamento degli animali in quanto il bosco, perlomeno il bosco fitto, non riesce ad affermarsi a causa del suolo calcareo che affiora spesso; per inciso si fa notare che tale caratteristica, cioè la presenza di strati lapidei in superficie, è quella che spiega l'esistenza di cave di « verdello » in quest'area.

Se, però, non vi sono, per via del terreno ingrato, boschi cedui di grande valore, vi è, ad ogni modo, una ricca vegetazione arborea e non solo. Essa è formata di latifoglie (con qualche conifera dovuta a recenti rimboschimenti), così le classifica il "Corine V livello", secondo regole di livello europeo, ma che uno studio dell'Università del Molise sui « Tipi Forestali » articola in più raggruppamenti arborei, nei quali, va evidenziato, non c'è mai la quercia, la quale, altrove, rappresenta la specie dominante. Queste formazioni boschive, le quali si differenziano in parte fra loro a seconda dell'altitudine, sono costituite prevalentemente da orniello, carpino e frassino che, seppure, forse, sono piante meno "nobili" del faggio o della roverella, sono importanti poiché contribuiscono ad arricchire la diversità floristica del Matese (e dell'intera regione perché esse si concentrano alle sue pendici), in altri termini la biodiversità. La fisionomia è quella di masse boschive aperte (coprono solo il 50% della superficie), diradate; con un termine più appropriato possono essere definite boscaglie. Si è detto della varietà arborea alla quale va aggiunta quella, ancora più elevata, delle specie arboree e arbustive le quali si ritrovano tanto nel sottobosco quanto negli spazi lasciati liberi dalle macchie boschive; a questo proposito è da precisare che le essenze erbacee e i cespugli sono gli stessi, dentro e fuori dal bosco.

L'affermazione del cespuglio è un indicatore dell'abbandono, fenomeno che porta i pascoli a trasformarsi in superfici forestali. Che non si tratti di ex-coltivi è evidente, trattandosi il Matese di cui monte Gallo è parte una montagna carsica in cui la solubilità della roccia e la frequenza della fessurazione porta l'acqua ad infiltrarsi in profondità; non trattenuta in superficie non può essere sfruttata per l'irrigazione né, tantomeno, è consentito l'insediamento umano stabile. L'acqua emerge ai piedi del massiccio con una serie di risorgive tra le quali c'è la sorgente che da vita al bellissimo laghetto di S. Nazzaro in agro di Monteroduni. La presenza di un reticolo idrografico in quota, è opportuno evidenziarlo, con la sua vegetazione spondale, gli ambienti umidi, ecc. avrebbe aumentato la diversità degli habitat che, pertanto, si limitano a quelli forestali. Si è finora parlato delle peculiarità ambientali di questo posto, adesso bisogna allargare lo sguardo con l'indagare il ruolo che esso svolge in un sistema più ampio, nell'ecosistema cui appartiene. Monte Gallo è collocato nel Matese, il quale, a sua volta, è una porzione dell'Appennino. La catena dell'Appennino ha quale sua peculiarità quella di essere una struttura ambientale di tipo longitudinale, nella quale le continuità, in particolare gli spostamenti della fauna terrestre, vanno ricercate lungo la direttrice nord-sud, quella su cui è impostata la successione dei gruppi montuosi (tra gli altri il Gran Sasso, la Maiella, le Mainarde e il nostro Matese) che compongono l'Appennino.

A dire il vero non è una direzionalità esclusiva: infatti dato il grande spessore di questi monti, si pensi proprio al Matese, l'andamento delle componenti naturali attraverso le quali si muovono gli animali selvatici è anche in senso trasversale. Seppure non isotropo in maniera compiuto non ha neanche una direzione esclusivamente univoco il sistema ambientale matesino, ma siamo di fronte ad una rete ecologica complessa. I monti del Matese, è un'altra considerazione che si collega in modo stretto alla precedente, vengono ad essere un insieme ambientale unitario, privo al suo interno di interruzioni. La mobilità degli animali non è sicuramente ostacolata dal passaggio della strada, che ha una sezione viaria ridotta e un traffico limitato, che da Monteroduni risale a Vallelunga né da quella, delle medesime dimensioni della prima, che da Capriati raggiunge Gallo, le uniche due strade che solcano il massiccio da questo lato. Non produce "frammentazione" neppure l'alveo della Rava delle Cappelle il quale è il solo corso d'acqua, di tipo torrentizio, che nasce in altitudine; si tratta di un canalone sassoso che nel pezzo iniziale diventa uno spettacolare canyon carsico, il « peschio rosso », frutto di un movimento tettonico piuttosto che di erosione fluviale.

Le sue pareti sub-verticali sono di ostacolo al passaggio della fauna, la quale, però, migrando un po' trova facili varchi. Al di là si questa forra selvaggia non vi è limitazione alcuna alla continuità faunistica la quale ha una conclusione inevitabile con la conclusione del Matese il quale termina giusto a monte Gallo. Monte Gallo è la propaggine estrema di questo massiccio al quale, è bene puntualizzarlo, appartiene in pieno. Nonostante la sua altezza sia contenuta l'accentuata pendenza del versante ne fa chiaramente una montagna, a prescindere dal dato altimetrico. Monte Gallo sta al confine del Matese, o meglio è una zona di transizione tra ambienti differenti, la montagna da un lato e il fiume Volturno che la costeggia per un tratto (solo sul lato corto, vedi anche ad est il Tammaro, il Matese è delimitato da un corso d'acqua). Il bosco denso che copre le pendici di monte Gallo, molto più folto di quello che trovi in sommità e in ciò è un'anomalia perché ci sarebbe da aspettarsi un incremento della copertura forestale man mano che si sale, arriva a lambire le sponde del fiume e, perciò, ad essere compreso in tale corridoio ecologico.

In altri termini, se dal punto di vista morfologico è un passaggio brusco, per via della contrapposizione tra la ripidezza del versante e la piana fluviale, tra Volturno e Matese, il bosco che riveste il fianco di monte Gallo fino a raggiungere l'alveo diventa un elemento di mediazione tra ambienti distinti. Monte Gallo, di nuovo, non viene a rappresentare, così, una barriera, in ragione della « biopermeabilità » che assicura l'estensione boschiva; in definitiva siamo in un punto davvero delicato per quella sorta di « ambiguità » intrinseca che possiede. Un'area per così dire di frontiera con caratteri autonomi che la distinguono dal resto del Matese, complesso montano con una spinta mutevolezza dei paesaggi, del quale incrementa la ricchezza paesaggistica. Va tutelata la sua particolarità di ambito di passaggio e, nello stesso tempo, di confine rispetto alla quale valutare l'ammissibilità di interventi di trasformazione. Tra questi vi sono le cave di verdello, una pietra calcarea che si estrae in lastre da ammassi rocciosi rinvenibili nello strato superficiale del terreno; il verdello può essere inteso alla stregua di un « prodotto tipico », quasi come quelli enogastronomici che viene utilizzato quale pietra da rivestimento, quindi da esibire e non un blocco da costruzione. L'estrazione che avviene manualmente non comporta scarti con conseguente discarica di inerti, sicuro detrattore paesistico.

 

di Francesco Manfredi Selvaggi

 

Campobasso, li 30 gennaio 2013

 

 

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