CONTRIBUTO
ALL’INIZIATIVA DI LEGAMBIENTE
PER
L’INCONTRO CON I CANDIDATI ALLA CARICA DI
PRESIDENTE
DELLA REGIONE MOLISE
Mercoledì 6 febbraio 18 sigle, tra associazioni tecniche,
di protezione ambientale e ordini professionali (tra cui Sigea e Legambiente) hanno tenuto a Roma una
Conferenza Nazionale sul rischio idrogeologico dal titolo: “
Prevenzione e mitigazione del rischio. Le priorità per il governo del Paese”. È, probabilmente, la
prima volta che una così ampia e variegata compagine di promotori in
tema di rischio idrogeologico ha deciso di promuovere un confronto
costruttivo su un argomento, come quello del rischio idrogeologico, che
da sempre ha visto il nostro Paese pagare gravi tributi in termini di
vite umane, beni e risorse finanziarie senza realmente individuare la
vera politica di previsione e prevenzione.
I temi trattati hanno spaziato da “La mitigazione del rischio
idrogeologico e l’adattamento ai cambiamenti climatici e la mitigazione dei loro effetti sulle
attività antropiche, fino alla costruzione di una politica tesa alla
prevenzione e alla mitigazione del rischio stesso”.
In sessioni parallele, la
discussione ha permesso di raccogliere ulteriori contributi e
osservazioni in merito a tre questioni centrali:
-
reperimento
e destinazione delle risorse economiche;
-
governo
del territorio e semplificazione normativa;
-
approfondimenti
tecnico-scientifici e approccio al problema.
I dati, relativi al dissesto in
Italia, parlano chiaro; sono ben 6.633 i comuni italiani in cui sono
presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale. Negli ultimi
60 anni si sono verificati oltre 3.300 eventi naturali a carattere
disastroso, quali improvvise inondazioni torrenziali, frane o colate di
fango e detriti:
- centinaia
di migliaia il numero di sfollati e senzatetto, migliaia i morti;
- ingenti
i danni al patrimonio immobiliare e culturale;
- migliaia
di milioni di euro spesi nel tentativo di risanare le numerose
cicatrici apertesi, di volta in volta, sul territorio.
Per quanto ci riguarda, il Molise
risulta essere la terza Regione per numero di Comuni interessati da
fenomeni franosi (circa 25 mila le frane rilevate). Su 136, i comuni a
rischio sono 117. Oltre il 90% del territorio regionale è interessato
da frane attive.
Da sempre, lo schema del post -
evento calamitoso, limitato, tra l’altro, ad un breve periodo, è lo
stesso: si contano le vittime, si cintano i danni, si crea la
solidarietà nazionale con raccolta di fondi e fiaccolate di
solidarietà, si cerca di capire le cause, si approccia con cautela a
comprendere le responsabilità tecniche e politiche, si stanziano i
fondi per ricostruire. E, non di rado, i nuovi manufatti vengono
ubicati nello stesso luogo, proprio laddove la natura ha tentato di
riprendersi gli spazi che gli competono. Lo schema è ormai collaudato e
pronto per essere applicato per altro evento calamitoso, in altra
stagione e in altra regione.
Le cause sono, da tempo, arcinote.
Tra esse, le maggiori e più ricorrenti e/o quelle che concorrono con
incidenza diversa, a seconda delle situazioni, l’abbandono delle
campagne, l’edilizia distratta dagli interessi economici, l’abusivismo
edilizio, l’assenza di manutenzione dei corsi d’acqua, gli incendi
boschivi, i cambiamenti climatici.
Le conoscenze di natura tecnica e
scientifica evidenziano, quali fattori alla base dei fenomeni di
dissesto, le cause naturali e antropiche. Essi rientrano tra i lentissimi
movimenti della dinamica terrestre e che a generarli sono
essenzialmente il regime delle piogge, la natura geologica e
geomorfologia dei luoghi e, non ultimo, l’opera dell’uomo, cresciuta
fortemente negli ultimi decenni.
Le Scienze della Terra hanno
continuato a fornire indicazioni a coloro che quotidianamente operano
sul territorio, circa il sovraccaricare con manufatti le pendici, al
non sbancare al piede i versanti, al non prelevare eccessive quantità
di fluidi dal sottosuolo o impedire ad una eccezionale quantità di
pioggia di essere ricevuta dal suolo. Nel contempo, non sono mancate
indicazioni atte a sottolineare che un suolo ben difeso da boschi e/o
da opere idrauliche efficaci e opportunamente disposte o anche il
semplice non costruire negli alvei di piena, sono interventi umani che
possono evitare o quantomeno contenere, nella giusta dimensione, gli
effetti di fenomeni prevedibili.
D’altra parte, considerare
“ineluttabili” eventi catastrofici che non solo si ripresentano
sistematicamente, ma che insistono sullo stesso territorio, diventa
quantomeno insensato considerarli naturali.
E’ il momento, non più rinviabile, di
affrontare l’intera problematica nella sua complessità, ovvero
individuare e censire le aree a rischio, predisporre idonee misure
preventive, legislative e tecniche, applicare la protezione
idrogeologica più adatta alle diverse situazioni.
Le conseguenze dei fenomeni di
dissesto idrogeologico si rivelano, sia verso il consumo zero della
risorsa suolo, sia verso la salvaguardia delle colture agrarie, dei
boschi, degli ecosistemi, degli insediamenti, delle infrastrutture e
dell’insieme delle attività umane.
Da non dimenticare, gli effetti dei
danni permanenti e/o di lunga durata, quali la perdita di vite umane e
i periodi più o meno lunghi relativi alla sospensione delle attività
produttive, in seguito alle interruzioni del traffico sia stradale che
ferroviario.
È evidente, ma risulta ampiamente
dimostrato, che il costo degli interventi di prevenzione può rendersi
molto minore dell’ammontare del danno economico e dell’importo delle
opere di sistemazione del territorio e dell’insieme di quanto
danneggiato.
La difesa del suolo, proprio in un
Paese, geograficamente e geologicamente come il nostro, è da
considerare, in definitiva, un investimento produttivo, da affrontare
globalmente, dal punto di vista idraulico, agricolo e forestale,
pensando alle bonifiche montane e di pianura, alla regimazione
e all’uso plurimo delle acque, compresa la loro tutela dall’inquinamento,
la salvaguardia delle coste, la localizzazione degli insediamenti
produttivi e di quelli abitativi, in una parola, alla pianificazione
del territorio.
Per concludere e nella speranza di
trovare il giusto modo di abbordare il problema nel suo complesso, è
inevitabile tener saldamente presente il fatto che la maggior parte
delle cause che concorrono al dissesto idrogeologico sono da
attribuire, direttamente e/o indirettamente, all’azione dell’uomo. È,
dunque, possibile affermare che all’origine del tragico ripetersi degli
eventi calamitosi c’è un problema eminentemente culturale, prima che
tecnico – scientifico, che può essere affrontato e risolto solo da
un’azione politica che abbia la seria volontà di ritornare a curare la
popolazione e il territorio, lasciando a quest’ultimo il suo naturale
evolversi.
INCENTIVARE L’USO DELL’ENERGIA
GEOTERMICA A BASSA ENTALPIA.
Quando si parla di energia
geotermica, si pensa, inevitabilmente, a quella classica, relativa allo
sfruttamento di anomalie geologiche o vulcanologiche.
Esempi italiani sono la produzione
di energia elettrica di Larderello in Toscana
e le acque termali calde presenti in varie località del nostro Paese,
utilizzate a fini di riscaldamento.
La geotermia a bassa entalpia, ad impatto zero, è quella relativa allo
sfruttamento del sottosuolo, senza l’utilizzo di impianti complessi,
utilizzando la differenza di temperatura tra la superficie e quella che
rimane costante durante l’intero arco dell’anno, presente in
profondità.
Il sottosuolo, quale serbatoio
termico, permette di estrarre calore durante la stagione invernale e di
riceverlo durante quella estiva.
È possibile, cioè, che qualsiasi
edificio, sia esso adibito ad abitazione, alla produzione industriale
e/o agricola o ad attività legate ai servizi, in qualsiasi luogo del
nostro pianeta, possa riscaldarsi e raffrescarsi
senza usare la classica caldaia d’inverno e il gruppo frigo
d’estate.
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