Il caso fece scalpore, arrivò in cronaca nazionale: il
Capitano dei carabinieri di Termoli Fabio Muscatelli,
motore di indagini scomode su politici, medici, colletti bianchi e
perfino colleghi operativi nell’Arma o nella polizia giudiziaria,
trasferito di colpo a Livorno a fare il magazziniere.
“Incompatibilità ambientale” la motivazione con la quale gli allora
vertici regionali, il Colonnello Saverio Nuzzi
e il Generale Ermanno Meluccio, disposero il
trasferimento nella città toscana senza funzioni operative né compiti
investigativi. Per la Procura di Larino quella fu una “punizione” bella
e buona, una sorta di castigo infitto a chi osò sfidare i poteri forti
indagando su quello che doveva restare sotto la sabbia, e soprattutto
andando a rompere le proverbiali uova nel paniere proprio al cuore
della gerarchia militare dell’Arma, mettendo cioè sotto inchiesta il Colonello Maurizio Coppola, che nel secondo filone di
“Black Hole” era
stato addirittura arrestato.
Il trasferimento coatto di Muscatelli, che
oggi è Maggiore e ha un incarico di alta responsabilità a Roma, non
venne portato a termine perché intervenne un colpo di scena. Il
fascicolo della complessa vicenda - documenti, atti, lettere,
provvedimenti. – fu sequestrato su ordine della Procura con blitz negli
uffiic del Comando. Era il 29 gennaio 2008.
Cinque anni dopo il processo contro Nuzzi e Meluccio, che nel frattempo hanno lasciato il
Molise, è entrato nel vivo. E si annuncia un processo particolare, se
non altro perché vede sfilare davanti al giudice Maria Paola Vezzi, nel
palazzo che ospita la sezione distaccata di Termoli del Tribunale di
Larino, oltre una decina di carabinieri, alcuni di alto grado. Testimoni
alcuni della difesa, rappresentata dall’avvocato Arturo Messere, e
altri dell’accusa, affidata al pm Luca Venturi. Il Maggiore è invece
difeso da Giuseppe De Rubertis, che auspica
una sentenza rapida, entro l’anno in corso, perché la spada di Damocle
della prescrizione è in agguato.
A giudicare dal calendario disegnato dal giudice Vezzi, però, il
processo iniziato ad aprile potrebbe terminare nel giro di 8 mesi.
Lunedì pomeriggio, dopo che nell’udienza di inizio aprile sono state
respinte le eccezioni della difesa, Fabio Muscatelli
ha raccontato a lungo, come parte offesa, i due anni di indagini e
vessazioni che gli sono costati l’inimicizia di una parte dell’Arma e
che si sono tradotti nelle accuse di favoreggiamento e violenza privata
a carico dei due superiori che avrebbero deciso di toglierlo di mezzo,
come investigatore ovviamente, per proteggere il ruolo e la posizione
di quegli stessi ufficiali sui quali il Capitano indagava.
Muscatelli ha riconfermato punto per punto
una storia controversa, che passa attraverso il volto meno sereno e
meno rassicurante della Benemerita e che mette in luce le “regole”
della vita militare nella loro accezione di implacabili ordini di
scuderia. Dagli encomi solenni ricevuti per i “brillanti risultati
operativi raggiunti” al presunto mobbing messo in atto dai nuovi
vertici provinciali e regionali, che cominciano a vederlo – così nella
dettagliata ricostruzione della pubblica accusa – non un valido
investigatore ma una sorta di rompiscatole, uno che «vede marcio
dappertutto». Due anni durante i quali le note valutative si cominciano
ad abbassare, precipitano, mentre Meluccio e Nuzzi «frapponevano – come si legge nelle carte
processuali – ostacoli allo svolgimento delle indagini impegnando
l’ufficiale Fabio Muscatelli in reiterati,
defatiganti e logoranti procedimenti amministrativi» .
Sanzioni disciplinari,
istruttorie amministrative a suo carico e a carico dei suoi fidati
collaboratori, minacce velate, indagini improvvisamente avocate e
pressioni che non hanno dato però il risultato programmato, cioè
obbligare l’ufficiale a chiedere un trasferimento.
Le ipotesi di reato sono appunto favoreggiamento (a vantaggio di
politici locali e centri di potere) e violenza privata ai danni
dell’ufficiale, che sarebbe stato minacciato in più occasione di venire
spedito in sedi disagiate o dequalificanti se non avesse chiesto lui
stesso un trasferimento. Cosa che non ha mai fatto. Ed è proprio per
questo, – scrive in sostanza il sostituto procuratore Luca Venturi –
che si arriva al provvedimento di trasferimento istantaneo (entro 5
giorni) «per una inesistente incompatibilità ambientale».
In un quadro di punizioni e penalizzazioni, anche il trasferimento a
Livorno, secondo l’accusa che ora deve provare quanto sostenuto, sarebbe
stato viziato da una sorta di illegittimità: l’ultimo castigo, insomma,
per chi non si è convinto con le buone a sloggiare. E’ così? Il giudice
Vezzi intanto passa ai raggi x le ferree regole dell’Arma, per
comprendere il contesto nel quale si è mossa una vicenda finita anche
sui giornali nazionali. Uno spaccato della vita militare in un processo
che nelle prossime udienze dibattimentali vedrà sul banco dei testimoni
d’accusa e di difesa molti carabinieri. Alcuni nel frattempo hanno
lasciato il Molise e sono stati trasferiti altrove, altri invece
lavorano ancora in regione. Comunque vada a finire, la sentenza sarà
una delle prime del genere in Italia e farà scuola.
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