L’intervento
Un (contrac)colpo al cuore
dell'Occidente Riflessioni sui processi
politico-mediatici innescati dai fatti di Parigi Otto
anni passati a studiare il mondo arabo, la lingua, i dialetti, le religioni
(ebbene sì, non ce n'è solo una di religione), la storia politica ed
economica, e non mi permetterei mai di esprimere giudizi così netti
sull'Islam (l'accento è sulla 'a') o 'gli islamici' come quelli che in questi
giorni ho intravisto sulla stampa, dagli opinionisti di facebook,
o ascoltato in televisione. Sedicenti 'esperti' danno prova delle loro doti
in tuttologia lanciandosi nelle peggiori lezioni di
razzismo e islamofobia dall'11 settembre in poi.
Tutti, nessuno escluso, interpretano i fatti di Parigi come un attacco al
cuore dell'Occidente, il che presuppone, in maniera più o meno esplicita, un
'Oriente' da qualche parte che ce l'ha a morte con 'noi' e che ci vuole annientare.
Da qui l'urgenza di dire due cosette. Non sull'Islam, sul terrorismo (non ne
sarei all'altezza), o sulla libertà di espressione (che è fuori discussione),
ma sui processi politico-mediatici innescati dai fatti di Parigi. L'idea
dello 'scontro di civiltà' è stata teorizzata e predicata da una certa
corrente di pensiero conservatore statunitense che postula l'assoluta
diversità e incompatibilità della 'civiltà occidentale' con quella islamica,
simbolo di un 'Altro' che ci minaccia e da cui dobbiamo difenderci. Molto
semplicemente, per gli amanti dello scontro di civiltà 'l'Occidente' e
'l'Islam' sarebbero due blocchi monolitici e immutabili, con dei valori
essenzialmente in contrasto e irriducibili tra loro, e perciò destinati allo
scontro, da cui uno solo uscirà vincitore. Altro 'peccato originale' di
questa visione è l'idea che l'Islam possa essere l'unica lente attraverso cui
leggere i processi politici e sociali dell'intero mondo islamico (ma sarebbe
meglio dire dei mondi islamici), senza affatto considerare altre possibili
prospettive: nazioni e nazionalismi, differenze di classe, di genere,
ideologiche, movimenti culturali, sono solo alcuni dei tanti angoli
prospettici in cui potremmo posizionarci come osservatori. Il
problema è che, anziché restare semplicemente un'idea confinata a qualche
circolo, giornale o think tank, questa visione è
ciò che ha animato e giustificato le politiche di tutti gli stati occidentali
in materia di politica estera, sicurezza, immigrazione, rapporti con le
minoranze, negli ultimi quindici anni almeno. Così, non volendo (o forse sì),
le nostre classi dirigenti hanno creato il terreno perfetto per il
proliferare di estremismi anti-occidentali. I cosiddetti fondamentalisti
(termine usato spesso impropriamente, e molto abusato) sguazzano gioiosamente
nel discorso e nelle politiche confezionate dagli stati occidentali. Dialogo
con l'occidente? "Quale occidente?" direbbero loro, "quello
che ha bombardato i civili in Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia, Pakistan?
Che ha appoggiato regimi dittatoriali che garantivano i loro interessi
economici? Che rifornisce da decenni armi e aiuti a Israele mentre questi
occupa e massacra palestinesi?". Insomma,
a forza di predicarlo (e praticarlo), lo scontro di civiltà si materializza
sempre di più, creando quel nemico (elemento essenziale per uno scontro) che
se prima era debole e stentava ad emergere, adesso fiorisce e si riconosce
perfettamente in quel terreno di combattimento diviso in due (da una parte i
buoni dall'altra i cattivi), e dove non c'è spazio per l'attenzione alle
storie, alla complessità, alla variegata galassia di fattori e processi
sociali che stanno alla radice di eventi tragici come quello di questi
giorni. In sintesi, detta con le parole di un mio collega e amico,
"plasmando l'immagine di un Occidente e di un Islam separati non si fa
altro che spingere chi non riconosciamo come parte di quell'Occidente
nell'altro stampino, creando il nostro nemico". L'ISIS e i governi
occidentali, i terroristi di Parigi e i vari Le Pen
e Salvini hanno bisogno l'uno dell'altro, si
nutrono e crescono l'uno dell'esistenza dell'altro. Non lo sanno, ma sono due
facce, indivisibili, della stessa schifosa oppressione. E
infatti già adesso, la macchina repressiva si concentra sui quartieri a
maggioranza musulmana, mentre da noi si ripete che bisogna vietare le
preghiere islamiche e le moschee, e che siamo stati troppo 'buonisti' di
fronte all'arrivo degli immigrati (e che quindi, deduco, avremmo dovuto
lasciarli morire in mare o nel deserto, secondo i valori della civiltà
occidentale). Io non
pretendo che i miei amici musulmani (si dice musulmani, non islamici!)
chiedano scusa o prendano le distanze da questi attentati. Come io non mi
sento di dover chiedere scusa per la guerra in Iraq, in Afghanistan, per le
torture di Guantanamo, le stragi quotidiane di palestinesi e siriani, gli
attentati fascisti e islamofobi delle destre.
Combatto tutti i giorni contro i governi che seminano devastazione sociale e
i loro eserciti obbedienti di soldati, polizia e camerati. Non siamo
esponenti della stessa 'cultura', eppure qualcuno ci etichetterebbe insieme
come 'occidentali', così come la maggior parte dei due miliardi e più di
musulmani nel mondo non hanno niente a che spartire con i tre del commando
parigino o con i miliziani dell'ISIS. Di Occidente (ammesso che poi esista)
non ce n'è uno solo. Perché dovremmo pensare che la cosa sia diversa per il
mondo islamico? Storie, tradizioni, lingue, identità locali, religiose, politiche,
non solo sono tantissime e diversissime tra coloro che ricadono sotto queste
due etichette, ma sono in continua evoluzione, da sempre soggette alle forze
sociali, economiche, politiche, di chi lotta per affermare interpretazioni
discordanti, e visioni conflittuali degli stessi valori, ideali, siano essi
laici o religiosi. Lo dimostra il fermento che c'è oggi sull'una e sull'altra
sponda del Mediterraneo, tra chi lotta, tra mille difficoltà e pericoli, per
costruire società realmente libere, giuste, solidali. Intellettuali
e politici di destra italiani, a partire da Oriana Fallaci, passando per
Gasparri e Salvini, e arrivando a Sallusti, sono i maggiori seminatori di questo odio
basato su una visione a blocchi contrapposti, quando parano esplicitamente di
una "civiltà superiore", invocano "operazioni militari"
contro "il nemico in casa", puntano il dito contro
"l'islamizzazione" delle nostre società (!) e gridano "basta
barconi". Ma il verme strisciante dello scontro di civiltà si annida (ed
è forse quello più pericoloso) anche tra i liberali e democratici
intellettuali 'di sinistra', e persino grillini,
con il loro perbenismo, qualunquismo, razionalismo, ateismo, sempre pronti
all'uso. Le
finte lacrime di chi pubblica l'hashtag #jesuischarliehebdo colmo di indignazione per la barbara
uccisione dei giornalisti francesi mentre poi, ad esempio, non ha mai speso
una parola per i morti ammazzati dalle dittature arabe, spesso laiche, ancor
più spesso filo-occidentali, sono lacrime selettive, e quindi stupide, o
peggio ipocrite e strumentali. Sono le lacrime di chi piange come se ci
fossero morti 'nostri' (quelli importanti, perché rappresentano la nostra
'civiltà') e morti "di altri" (quelli che non contano granché,
perché non ci appartengono), anziché semplicemente vittime e carnefici.
È
facile fare il tifo contro 'i cattivi'. È comodo ma ingannevole cercare un
nemico, facilmente identificabile, con un nome e una faccia ben precisa, sia
esso l'Islam, le religioni tutte, l'immigrato, o l'uomo bianco. Più difficile
prendersi il tempo per capire questioni complesse, non accontentarsi delle
spiegazioni che restano sulla superficie. Qualcuno potrebbe rimanere deluso
scoprendo che quei fantasmi non esistono, che sono solo creazioni inculcate
nelle menti per generare la paura e il risentimento, e così coltivare l'odio
e il bisogno di essere protetti dalle insidie del mondo là fuori. La
chiamata alle armi per la guerra santa è già stata lanciata. Noi non ci
arruoleremo. di Francesco De Lellis (da ilbenecomune.it) |
Campobasso,
li 13 Gennaio 2014