L’Intervento
Benedetto XVI lascia “Le
mie forze non sono più adatte ad esercitare in modo adeguato il ministero.” Questa
in sintesi la motivazione che avrebbe spinto papa Benedetto XVI a lasciare il
pontificato a partire dalle ore 20,00 del 28 febbraio. Abbiamo
seguito la notizia dalle televisioni e dal web ed i commenti che hanno
accompagnato l’evento ci sono parsi quasi tutti legati a sentimenti di
sconcerto, di disorientamento, di tristezza. Sono tutte
emozioni comprensibili. C’è stata,
invece, in alcune dichiarazioni di credenti quasi una sensazione di paura per
le sorti della Chiesa, dovuta anche al fatto che per avere un’altra rinuncia
al pontificato bisogna risalire a Celestino V, sia pure con le dovute
distinzioni di carattere storico e motivazionale. Personalmente
da cristiani non nutriamo tali timori se vediamo, come tutti dovrebbero,
nella figura del pontefice null’altro che quella del vicario di Cristo sulla
Terra. La Chiesa
pertanto è affidata nelle mani del Signore che sa come e dove indirizzarla
perché guidi il popolo di Dio verso la verità. Nella
storia spesso la Chiesa istituzione ha navigato in acque burrascose e si è
macchiata perfino di gravi errori, di cui ha fatto bene a chiedere perdono;
guidata, però, dalla parola di Dio, è stata in grado di riprendere il cammino
della verità, del bene e della giustizia. Certo le
dimissioni, per certi versi inaspettate, di Benedetto XVI potrebbero avere
anche ragioni di carattere istituzionale, dottrinario e di rapporti
all’interno della curia vaticana. Sono solo
supposizioni che circolano e come tali le lasciamo ai lettori. Proviamo anche
ad immaginare su un certo versante polemiche inconcludenti che abbiamo già
letto. Per ciò che
ci riguarda rispettiamo profondamente la decisione di Ratzinger e, come
cristiani, gli esprimiamo riconoscenza per il prezioso lavoro svolto e per
quanto ancora riuscirà a dare al mondo cattolico ed al laicato in generale. Certo ora
si porranno i problemi di un avvicendamento sul soglio di Pietro che non sarà
più quello della normalità. Non
parliamo tanto dei problemi di eventuali ingerenze di chi lascia nei confronti
del nuovo papa che sarà eletto dal conclave di marzo, quanto di quello che
potrà rappresentare la nuova situazione nel futuro della Chiesa. Il Concilio
Vaticano II ha posto, secondo noi, nei suoi documenti le basi per rafforzare
la collegialità nelle decisioni, per rinnovare nella sostanza e nella forma
la Chiesa istituzionale e per dare ai laici il ruolo che loro compete
all’interno del popolo di Dio. Crediamo
che, anche rispetto a nuove rinunce di un pontefice, il futuro della Chiesa
stessa debba essere visto secondo un tale tipo di ottica. Certo sarà
difficile imboccare tale strada se, come ci è capitato ancora oggi di
ascoltare in televisione, permane in giro un lessico fatto di termini come
gerarchia, pastori, gregge, che si possono anche desumere dal Vangelo, ma
sono dettati da un linguaggio, da una cultura e da una società che
storicamente non ci appartengono più e che non sono certo quelli del Concilio
Vaticano II. Questo papa
allora, che ci lascia con un atto decisionale di rinuncia, dettato, come ha
scritto, dalla sua coscienza posta in preghiera davanti a Dio, non solo
merita rispetto, ma sicuramente ci aiuta a capire che è Dio stesso che ci
guida ad interpretare atti che a prima vista possono apparire sconcertanti,
ma che invece sono il frutto di un’umiltà che non deve mai abbandonare la
nostra persona di fronte ai limiti che a volte ci impediscono un mandato
affidatoci. La Chiesa
ora deve appunto rinnovarsi ed attrezzarsi per queste nuove transizioni nel
mandato relativo al pontificato, cercando di aiutare il popolo di Dio ad
avere una lettura positiva delle trasformazioni che possono verificarsi al
suo interno. di Umberto Berardo Campobasso, li 12
Febbraio 2013 |
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