Il caso dell’esclusione di
Marcello Miniscalco, condannato in via definitiva per un abuso d’ufficio
ai danni degli ex Ds (che oggi sono i suoi alleati politici…)
apre a una riflessione sulla questione della incandidabilità
in Molise. La legge parla chiaro ed è sacrosanta, ma mette in evidenza
l’ipocrisia dei partiti sulla vicenda della trasparenza e della moralità.
Quegli stessi partiti che in Molise e non solo hanno seguitato a
candidare come se nulla fosse persone alle prese con guai giudiziari ben
più gravi e imbarazzanti di quello del segretario dei Socialisti
molisani...
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Ci sono due paradossi
nell’esclusione (per ora ancora provvisoria) di Marcello Miniscalco dal
listino di Paolo Frattura per le elezioni regionali del Molise.
Il primo è legato alla vicenda in sé. Miniscalco è stato defenestrato dal
listino sulla base della legge “liste pulite”. Sulle sue spalle grava una
condanna in via definitiva per abuso d’ufficio, e dunque non è
candidabile. Quella condanna gli fu inflitta per un episodio del 1995
quando era sindaco di Rocchetta al Volturno. Il partito dei Ds
(Democratici di Sinistra, ovvero la formazione dalle cui ceneri è nato il
Partito Democratico) chiese di poter svolgere una propria manifestazione
nella piazza del paese. Miniscalco gliela negò, i Ds lo denunciarono, la
vicenda finì in Tribunale e sei anni dopo – nel 2001 – l’ex sindaco di
Rocchetta è stato condannato in via definitiva a tre mesi di reclusione. Come
dire: Miniscalco è stato eliminato per un piccolo contenzioso di diciotto
anni fa con i suoi alleati di oggi. Più paradossale di così…
Il secondo paradosso è di natura per così dire etica. La legge
parla chiaro, chi ha condanne di un certo tipo (soprattutto per reati
contro la Pubblica Amministrazione e per reati associativi) non può
essere candidato. Sacrosanto. La legge, del resto, è stata
approvata anche sulla scorta di una richiesta sempre più pressante
dell’opinione pubblica indignata per la presenza in Parlamento e negli
Enti Locali di persone alle prese con imbarazzanti vicende giudiziarie.
Dunque, Miniscalco ha una condanna e per questo non può essere candidato,
indipendentemente dalla gravità dell’episodio in sé.
Tuttavia, la sua esclusione mette in evidenza l’ipocrisia che alberga
nel cuore dei partiti sulla vicenda della trasparenza e della moralità.
La legge “liste pulite” è stata approvata appena qualche settimana fa tra
lo squillare di trombe delle segreterie dei partiti (nessuno escluso) che
ne hanno salutato l’entrata in vigore come un decisivo passo in avanti
nel cammino verso la “pulizia interna” che la politica è da tempo
chiamata a fare. E non si è levata nemmeno una voce – né a Roma e
nemmeno in Molise – per contestare o contrastare quel provvedimento. Tutti
d’accordo, tutti unanimemente proiettati verso la moralità e la
trasparenza.
Poi però quando si è trattato di compilare le liste, la questione morale
è stata repentinamente messa in un cantuccio. E così è accaduto che
mentre Miniscalco veniva estromesso dalla contesa sulla base di una legge
che nelle intenzioni doveva restituire un po’ di decoro alla politica, i
partiti nella nostra regione (e non solo nella nostra regione) hanno
seguitato a candidare come se nulla fosse persone alle prese con guai
giudiziari ben più gravi e imbarazzanti di quello del segretario dei
Socialisti molisani. Iorio, per esempio, ha una condanna in primo
grado per corruzione ed è sotto inchiesta per altri reati, ma è
candidato. E non lui solo. Chieffo è sotto
accusa per truffa per lo scabroso affare del Termoli Jet per il quale
viene definito dai pm «ispiratore e organizzatore di tutte le condotte
criminose».
Luigi Velardi è coinvolto nell’inchiesta Black
Hole. Ferrazzano
e De Felice sono già stati rinviati a giudizio per truffa e abuso
d’ufficio in relazione ai presunti abusi urbanistici di via Ischia a
Termoli. Eppure sono candidati, e i partiti li hanno candidati.
Certo, la legge è la legge. E la Costituzione è la Costituzione. E
poiché secondo la nostra Costituzione uno è innocente fino a quando
una condanna nei suoi confronti diviene definitiva, gli indagati che
rimpinguano le liste elettorali sono innocenti, e come tali hanno il
diritto di partecipare alla contesa elettorale.
Tuttavia quando si parla di “questione morale” oltre a una questione di
forma c’è anche una altrettanto importante questione di buon senso, o
di opportunità, o – se vogliamo usare una parola che fa venire i brividi
ai palazzi del potere – di coerenza. E la coerenza vorrebbe che chi
approva una legge ammantandola di “valori morali” si comporti di
conseguenza anche fuori dagli angusti perimetri contemplati dalla legge
stessa. Per essere brutali: chi si affanna per approvare un
provvedimento contro la prostituzione dovrebbe poi fare possibilmente a
meno di frequentare i bordelli. Certo, non è scritto in nessuna legge, ma
sarebbe – appunto – una questione di buon senso, di opportunità. E di
coerenza.
Perché sennò poi, alla fine, ci si ritrova davanti al paradosso che gli
unici a pagare siano Miniscalco e quelli come lui. La pagliuzza e la
trave. Col risultato che anche una legge da tutti voluta e da tutti
osannata possa apparire una legge ingiusta.
di Morpheos (da
primonumero.it)
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