Ripabottoni è un
miraggio.
Il detto “chi lascia la via vecchia per la via nova, sa quello che lascia ma non sa quello che trova” è quanto
mai vero.
Lasciata la fondovalle e presa la scorciatoia per Castellino sul Biferno, bello da vedere, si arriva con strade da calvario, quasi ininterrotte, a Ripabottoni.
Comunque ci si arriva: il Sindaco e la cittadinanza ci aspettano
per l’accoglienza e c’è il tempo per ammirare l’abitato.
Ben conservato l’impianto urbanistico, stupenda lalunga strada scalinata che si percorre dopo la partenza dalla chiesa di S. Michele. Le facciate degli edifici sono in pietra a vista ben lavorata e i particolari costruttivi, mensole e fregi, portali e balconi, ingentiliscono ed impreziosiscono le facciate. Il terremoto in queste zone non si è sentito,
pertanto gli interventi scriteriati non hanno avuto applicazioni.
Ripabottoni (840abitanti) è sistemato sopra una roccia di natura tufacea ed il suo nome di origine longobarda potrebbe derivare da ripa (roccia) e “de Brittonis” (famiglia
feudataria).
E’ il paese di Paolo Gamba, nato nel 1712, allievo del famosoFrancesco
Solimena, che ha lasciato pregevoli opere anche inAbruzzo ed in
Puglia.
Viene visitata la chiesa di S. Maria Assunta, rifacimento settecentesco
di una chiesa medioevale, a tre navate, ove nella centrale si possono
ammirare gli affreschi delle Allegorie delle virtù e tele
di Paolo Gamba.
La visita prosegue poifra le stradine, scoprendo anche la casa natale di Tito Barbieri, altro illustre cittadino, patriota ed amico di Mazzini e combattente come ufficiale delle Guide garibaldine.
Da non perdere è anche la visita al frantoio privato, perfettamente conservato, con il fascino degli antichi macchinari e dell’ambiente,
che varrebbe la pena di trasformare in museo dell'olio. Insomma
non si riesce a creare nel nostro Molise punti di attrazione che
in altre regioni sfruttano bene per il turismo.
Nella piazzetta, dove fa bella mostra di sé la croce viaria
a braccia con terminale trilobate su colonna a capitello corinzio,
ci aspetta un abbondante assaggio di dolci locali e leccornie varie.
Il viaggio poi riprende. Siamo proprio sul tratturo Celano-Foggia,
il territorio è attraversato anche dal braccio Centocelle-Taverna del cortile. La camminata, ormai è tarda mattinata, inizia all’ingresso del paese. Il tratturo è ben individuato e si cammina sotto il soleche picchia ma senza preoccupazione per l’acqua, perchè Santino
riesce sempre a seguirci o adincontrarci. Tutto il tratturo si
apre alla nostra vista.
Quando sulla sinistra appare il casino D’Alfonsoindividuato per i cipressi o pini, si può ammirare
la delicata opera di sistemazione, mentre non si possono ammirare
gli interventi interni di ristrutturazione
Fra Galasso e Cianciulli, che stavolta è riuscito a seminare la moglie sempre presente, c’è discussione su una casetta rimessa a nuovo e fanno notare che una volta si aveva più delicatezza negli interventi, si adoperava il materiale locale in quanto più rossatro e più pesante per il ferro presente e non creava contrasti con l’ambiente.
La discussione continua sullapolitica in genere di recupero con
aiuti finanziari.
Lungo il tragitto, sulla destra in alto, appare l’abitato
di Morrone del Sannio (quota 832) abbastanza elevato, testimonianza
di come gli insediamenti erano posti in luoghi elevati per difesa
e in questo caso forse il primo sito risale ad epoca sannitica.
Il paesaggio è quello tipicopugliese, con enorme distese
coltivate a grano duro.
Si percorrono oltre cinque chilometri del tratturo prima di scendere
verso il Biferno e ci si ferma per prendere la decisione se tutti
o in parte si vuole attraversarlo a guado. Si riparte con una parte
del gruppo in discesa su una traccia sino al Biferno (quota 216).
Il guado non crea difficoltà, gli equilibristi riescono a sfoderare tutte le loro capacità, saltando sui massi fra l’acqua
ridotta ad un rigagnolo.
Dall’altra parte della strada fondovalle, in alto, c’è Castelbottaccio,
(quota 620), circa 800 abitanti, da raggiungere con un sentiero
ben visibile ma che sale con una pendenza non insignificante che
scoraggia molti partecipanti.
Si riprende il cammino, tuttavia, prima dell’abitato incontriamo la caratteristica chiesetta di S. Oto, dalla quale si può ammirare
tutta la vallata del Biferno.
Si raggiunge la piazza del paese verso le quindici e siamo accolti
dal sindaco. Qui c’è la fontana in pietra, con il simbolo del paese: botte e soprastante torre raffigura lo stemma del paese. Da qui si raggiunge la maestosa chiesa in pietra di Santa Maria delle Grazie, contenente all’interno anche una statua lignea della Madonna, opera dell’artista
napoletano Giacomo Colombo.
Altrettanto costruttiva è la visita attraverso le stradine
del ben tenuto paese.
Si riparte subito verso la vicina Lupara, per raggiungerla percorriamo
poco più di due chilometri di un tracciato panoramico a mezza costa. Qui l’accoglienza è veramente strepitosa, una lunga tavolata è stata allestita nella strada centrale e, tra le altre cose, viene servito un fumante e saporito piatto di fagioli e pasta alla chitarra preparato da Maria con la collaborazione di altre signore del luogo. Tutto lo apprezziamo e mangiamo con gusto ma chi si butta letteralmente sul piatto e mangia con voracità è Antonio tanto che un partecipante esclama: “Antonio, va bene che devi crescere, ma non così in
fretta.”
Non mancano squisiti dolcetti e liquorino finale. A chiusura, come gesto gentile di commiato, ci vengono offerte bottigliette di variaforma con un piccolo assaggio del saporito olio locale.
Durante la permanenza ho l’occasione di incontrare il segretario, emigrante giornaliero in un comune della provincia di Isernia. Quando si riparte, senz’altro con forza perché l’accoglienza è stata veramente squisita, è già l’imbrunire ma la giornata per noi sarà ancora
lunga.
Il diversivo su cui si discuteva arriverà. Il gruppo infatti parte a scaglioni, i più ligi
al dovere di camminatore partono, gli altri, ugualmente ligi ma
al dovere di esperti delle pietanze e legati al sacrificio della
cultura culinaria, si attardano.
Civitacampomarano non è molto lontana, meno di cinque chilometri da percorrere normalmente in un’ora, ma la penombra gioca qualche scherzo a MIMMO il cui nome pronunciato dagli altri partecipanti risuonerà per tutta la vallata come il richiamo dell’olifantesuonato da Orlando al Passo di Roncisvalle. All’arrivo notturno a Civita manca all’appello, ha pensato bene all’uscita da Lupara di deviare dal percorso per ritrovarsi impantanato, a tarda notte verrà ritrovato
sano e salvo ma meno fiducioso nelle proprie forze.
Piazza gremitissima per festeggiare i camminatori. Sul Palco un
gruppo folcloristico di 50 bambini: meraviglioso. Tavolate imbandite
di ogni ben di dio, peccato che non c’eri Mimmo!
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RIPABOTTONI |
RIPABOTTONI
Storia
Nel
medioevo Ripabottoni, appare sotto il nome di "Ripa gotorum". La leggenda popolare vuole che l'attuale centro sia stato fondato dai Goti, nel 1181 questo paese aveva il nome di "Ripabrunaldo".
Al tempo dei Normanni, ne era feudatario Giuliano di Castropignano.
Nel XVII secolo, giunsero in successione i Carafa, i Francone e
Ambrogio Caracciolo.
Architettura
Grazie a un frammento murato si ricorda l'arte romanica.
Tale frammento è rappresentato da un leone con le forme di un grosso gatto ed è riconducibile alla metà del XIII secolo. Nel XVIII secolo, fu restaurata la chiesa dell'Assunta. Il suo interno è diviso in tre navate, contiene anche 43 dipinti attribuiti a Paolo Gamba, il quale è il maggiore artista molisano. Gamba nacque a Ripabottoni nel 1712, tra i suoi dipinti meritano notevole attenzione quelle raffiguranti i "Profeti" San
Paolo e San Nicola.
Tradizioni
La costruzione della chiesa di San Michele fu realizzata
nel 1733 ed è legata alle credenze religiose popolari. Nel
corso dell'anno hanno luogo varie fiere di merci e bestiame. Una
di queste si effettua la quarta Domenica di Maggio, da non perdere
ad Agosto le sagre della porchetta e della trippa.
Sport e tempo libero
Il paese offre la possibiltà di passare giornate in assoluta tranquillità.
Ripabottoni dista 37 km. da Campobasso e 87 km. da Isernia.
CASTELBOTTACCIO
Tra i residenti attuali si annoverano numerosi
abitanti dei paesi vicini che nel passato si trasferirono a Castelbottaccio,
considerato centro economicamente più progredito, con piccole imprese come il Lanificio, il Molino, il Pastificio, due negozi di calzature, due di tessuti, tre frantoi oleifici, due dei quali ancora in funzione e molte attività artigianali, come, in particolare, quelle della lavorazione della pietra, con manufatti in forma di portali, finemente lavorati, uno dei quali è incastonato nel capitello della chiesa di Santa Maria di Canneto (Roccavivara), opera dell'Artista Niro Giuseppe. Ancora oggi questa attività sopravvive,
grazie all'opera di Giovannelli Mario Giuseppe.
Castelbottaccio è uno dei numerosi Comuni sorti presumibilmente in tempi di poco anteriori al mille. Poco ci è dato di dire di concreto circa l'etimologia che ne concerne il nome; parecchio, invece, delle deformazioni strane e talora ridicole alle quali il nome stesso si è prestato.
L'etimo primitivo "calca" del suo nome antico (storpiato poi in più modi) era forse non altra cosa che la voce araba "Kalaat" che vale fortezza: la quale, secondo il Famin (104), spiega g nomi di Calatafimi (Fortezza di Eufemio), Caltabellotta (Fortezza delle querce), e Caltanisetta (Fortezza delle donne). Ammettendo tale etimo, e dovendo spiegare l'intrusione della parola araba, una sola congettura verosimile sarebbe consentita, e cioè che
Caltabottaccio o ripeta le proprie origini da una colonia saracena,
o dei Saraceni rammenti qualche particolare fasto o nefasto durante
le loro incursioni nel Regno dal IX all'XI secolo.
Il nome del Comune nel Catalogo Borrelliano è "Calcabuzam", di pretto sapore orientale: in un diploma angioino del 1418 "Cac- cabuchaciam": al termine del secolo XV "Castrum Carcabutacii" e "Carricabottazzo": dal XVI in poi "Carcabottaccio" - "Calcabot-taccio" - "Calcabovazzo" (nell'Aldimari), e finalmente "Castelbot- taccio".
A proposito di questa ultima forma, scriveva il Giustiniani nel
1797: "Con errore in alcuni notamenti leggo Caccabottaccio, ma un maggiore errore si è poi quello di taluni recenti nostri scrittori, chiamandola Castelbottaccio, giacché non ebbe mai un tal nome". (105) Il Giustiniani aveva ragione: il tempo però gli ha dato torto; poiché oggi si chiama proprio così nella
dizione ufficiale.
Notizie feudali
Al tempo dei normanni Castelbottaccio faceva parte della
Contea di Molise. Nel 1132 ne era signore Malfrido o Manfredo Marchisio:
nel 1148 il figlio Ugone: nel 1178 Ragone Marchisio. E' da notare
che Marchisio non esprime altro che "signore della Marca": non vale "marchese", e tanto meno è cognome
famigliare.
Castelbottaccio nell'epoca sveva e gran parte dell'angioina, seguitò ad
essere feudo della casa comitale di Molise, e nel 1309 era in vita
un Raone Marchisio signore di Castelbottaccio e di Lucito, secondo
riporta l'Aldimari.
All'esordio del regno di Roberto d'Angiò il feudo era tenuto dalla famiglia di Sangro, la quale ne fu signora sino al 1465, allorché per
fellonia verso Ferrante I d'Aragona ne venne privata. La famiglia
di Sangro vanta origini anteriore al mille, essendo indigena della
vallata del Sangro e diramazione della casata longobarda dei Conte
dei Marsi. Castelbottaccio, devoluta al demanio, fu data in feudo
nel 1477 a Luigi Gesualdo Conte di Conza. La prosapia nobilissima
dei Gesualdo, derivante da prole di Re normanno, ripeteva il cognome
dal castello di Gesualdo (Avellino) che fu il suo primo feudo.
Con diploma del 10 maggio 1498 essa fu data in feudo al Gran Capitano, è noto
poi che, richiamato in Spagna nel 1507, tutti i feudi che aveva
posseduti vennero incamerati dal R. Fisco ed esposti in vendita.
Castelbottaccio restò aggiudicata ad un cavaliere dei Sangro,
del quale ignoriamo il nome battesimale, come ignoriamo la successione
feudale nella famiglia a tutto il 1560. Sappiamo invece con precisione
che nel 1560 trovandosi eredi del feudo Vittoria e Lucrezia di Sangro (ambo monache professe nel Monastero della Croce di Lucca di Napoli) figliole di Adriana Tomacello, queste fecero donazione del feudo a costei.
Adriana Tomacello passò a seconde nozze con Alfonso Piscicelli, e morì verso il 1569.Da Adriana ed Alfonso nacque Gianfrancesco che, quale erede della madre, stabilì la
signoria dei Piscicelli in Castelbottaccio, con inizio
dal 1569. La famiglia Piscicelli, fra le più antiche del Reame, era ascritta al patriziato nel Seggio di Capuana, ed era assunta all'ordine di Malta fin dal 1402. L'insegna dei Piscicelli: una banda adentata di oro e di azzurro,
sopra della quale è un rastrello, il tutto in campo rosso.Gianfrancesco Piscicelli - nipote «ex filio» dell'omonimo - morì nel 1646, ed ebbe ad erede il germano Berardino (nominato dal Capecelatro nel suo «Diario»):
il quale fu l'ultimo titolare della stirpe. Il feudo, allora, ad istanza
dei creditori di lui, venne messo all'asta dalla R. Corte, e rimase aggiudicato
nel 1655 a Giambattista Ferri. Giambattista Ferri e la sua discendenza tennero
Castelbottaccio in feudo sino ai primordi del secolo XVIII, e cioè per oltre mezzo secolo, e lo venderono poscia ai Cardone. Domenico Cardone, oriundo di Atessa, utilista di Archi e Fara in Abruzzo, teneva intestata Castelbottaccio nel 1725, ma probabilmente ne era titolare da assai tempo prima. Non è da confondere questa famiglia Cardone, indigena, con la famiglia Cardona dell'antico patriziato catalano, venuta nel Reame con
Alfonso I d'Aragona illustrata dal valore e dalla lama di Raimondo
di Cardona.
Furono successori a Domenico.-
a) Nicola, titolare certamente dal 1731: il quale ebbe due figli, Francesco
e Vincenzo. Morì nel 1740.
b) Francesco, nato il 22 novembre 1735: il quale in età di 46 anni sposò -
nel 1781 - donna Olimpia Frangipane figlia del Duca di Mirabello, la quale
contava 20 anni essendo nata il 16 luglio 1761.
Feste e tradizioni
Prima dell'evento della società tecnologica, erano fiorenti a Castelbottaccio feste e tradizioni alle quali aderiva con interesse tutta la popolazione, creando quel fenomeno di unione comunitaria dove la Festa era l'occasione di incontro e di pause liete dopo il lavoro. Di queste feste e tradizioni restano solo il ricordo di un patrimonio culturale che il tempo man mano va cancellando. 16 Gennaio - In onore di S. Antonio Abate, protettore degli animali, i devoti fanno lessare granturco e grano detti "Ciciariell" che vengono dati in pasto agli animali, come simbolo di protezione e liberazione da tutti i mali. 19 Marzo - San Giuseppe. E' devozione della gente del luogo ospitare tre persone raffiguranti la "Sacra Famiglia", e dar loro da mangiare la "Minestra" consistente in diverse pietanze, prive di carne. 12 Giugno - Si allestiscono falò in onore di San Antonio. 25 Giugno - Si ricorda la caduta di un fulmine (25 giugno 1888) che divelse parte del torace e due dita del bambino della statua della Vergine delle Grazie. 30 - 31 Luglio - Festa Patronale in onore di San Oto e della Madonna delle Grazie. 22 - 23 Agosto - Santa Giusta. 22 agosto giornata dedicata al culto della Santa presso la cappella rurale omonima e suggestiva fiaccolata; festività che
si protrae nel giorno 23 con riti religiosi nel paese. 21 Settembre
- San Matteo. In tale ricorrenza, animali e mezzi agricoli, adornati
di prodotti della terra, offerti poi alla parrocchia, sfilavano
davanti alla cappella di S. Rocco, in segno di ringraziamento della
buona annata e di scampato pericolo, ricevendone la benedizione.
LUPARA
Storia La collocazione degli edifici nel tessuto
insediativo richiama ad origini medievali. Il centro è nominato per la prima volta in un documento nel 1148, quando ne era signore Ugone Marchisio. Successivamente ne furono titolari i Luparia tra i quali Pietro che nel 1303, secondo alcuni studiosi, partecipò al "rapimento" di Papa Bonifacio XVIII. Famiglie ragguardevoli, quali i Caracciolo e i Di Sangro, tennero, quindi il feudo. Era marchese di lupara Alessandro Marcello Pignone del Carretto al tempo della eversione della feudalità.
Architettura
Testimone delle vicende medievali è la imponente struttura del castello ampiamente rimaneggiato, che occupa la parte più alta del colle. Oggi è parzialmente
in rovina. Altri richiami al Medioevo provengono dalla chiesa di
Santa Maria Assunta che conserva in facciata frammenti scultorei
di epoa romanica. Si tratta di un frammento di archivolto, sul
quale resta scolpto un tema scultoreo particolarmente diffuso nel
Molise medievale quale i tralci con foglie e grappoli di uva e
di un concio con una figura di animale in cui molti studiosi hanno
riconosciuto un lupo.
Tradizioni E' nel corso della terza Domenica di
Luglio che la vivacità imperversa nel paese quando si celebra
la Festa di Sant'Antonio. La statua trasportata da un carro viene
condotta in un'ala dove si conclude un secondo corteo di carri
che trasportano covoni di grano da offrire al Santo.
Sport e tempo libero Per gli amanti della natura,
il paesaggio che circonda Lupara costituisce un invito a passeggiate
ed escursioni. La natura impervia del territorio coperto di folti
boschi, attrae gli escursionisti più impavidi ma non scoraggia, con piccole aree più accessibili, quanti desiderano il riposo in luoghi silenziosi. Chiunque visiterà il territorio non potrà fare
a meno di ricordare che un tempo gli stessi pullulavano di lupi,
donde, secondo una tradizione del luogo, la denominazione Lupara.
Lupara dista 38 km. da Campobasso e 80 km. da Isernia.
CIVITACAMPOMARANO
Civitacampomarano è situata nell' area regionale denominata "Basso Molise"; rientra nella fascia interna sud orientale dell' antica Frentania che, in prossimità del mare adriatico, aveva la capitale a Larino. E' situata su un dorsale collinare ad altitudine compresa fra 900 e, a valle, 300 metri circa s.l.m.; a N-NE si erge la Maiella con le sue propaggini più meridionali del monte "La Rocchetta" (m.940) e di "Monte Mauro" (m.1025);
ad est il mare adriatico, a sud le colline ad andamento irregolare degradanti
verso il tratto terminale del basso Biferno, ad ovest altre formazioni collinari
risalenti fino al massiccio del Matese.
Il Territorio paesaggio, di tipo sub appenninico, è segnato da calanchi estesi e diffusi e da gole con pareti a strapiombo anche di notevole profondità. I calanchi hanno avuto origine dal modellamento delle argille paleogeniche, grige, brune, verdognole o rossastre che, a contatto con l'acqua, si rigonfiano e, per l' azione dei venti frequenti ed intensi si sgretolano e scivolano (smottamenti) o franano con grande facilità; le gole si sono originate per incisione progressiva ed accellerata prodotta dai due corsi d' acqua a carattere torrentizio che scorrono ad E-NE (Mordale) ed ad O-SO (Vallone Grande) del centro abitato. Lungo le pendici dei torrenti e degli altri piccoli corsi d'acqua, nelle aree fresche, riparate e meglio esposte alla luce c'è una variopinta vegetazione: da quella boschiva tipica di Cerro, Roverella, Orniello, Carpino, Acero e così via che dà origine alle formazioni denominate "Chiuse e Selve",
a quella arborea con predominanza di olivi, ma che annovera altre
specie meridionali come il mandorlo, il fico, la vite, il melograno,
etc.; da quella arbustiva di ginestre, tamerici, rose, biancospini,
a quella erbacea caratterizzata da moltissime specie aromatiche
ed officinali.
L' agricoltura e gli allevamenti, un tempo essenziali per l'
economia del luogo, oggi costituiscono attività marginali
limitate alla cerealicoltura ed alla pastorizia; fa eccezione
l' olivicoltura che fornisce ottimo olio da mensa.
Il bosco comunale Il patrimonio forestale di
proprietà del Comune di Civitacampomarano è diviso in due boschi : "Selva" e "Vallemonterosso". L'estensione totale è di 257 ettari contro i 340 del 1869. Questa perdita di bosco (quasi 100 ettari) è spiegata dal fatto che tra il 1870 ed il 1881, in Molise furono dissodati 7.000 ettari di boschi trasformati poi in seminativi. L' intero patrimonio forestale è diviso in 20 sezioni, di diverse estensioni. Ciascuna sezione viene tagliata ogni 20 anni, tale è infatti il tempo necessario affinché possa rigenerarsi. Dal taglio sono escluse soltanto alcune piante chiamate matricine o portasemi o, come nel gergo comune "alberi della speranza" perché, con la disseminazione operata nel corso degli anni faranno rigenerare il bosco. Tra le specie animali sono presenti : Cinghiali, Fagiani, Lepri, Scoiattoli, etc. Per accogliere i turisti nel bosco "Vallemonterosso" è presente un' ampia area attrezzata adibita a pic-nic. E' possibile effettuare delle escursioni podistiche o a cavallo attraverso percorsi naturali di incontaminata bellezza ambientale. L' altura dominante è "Monte Rosso" situata
a 900 m. s.l.m.
A breve distanza dal bosco di Civitacampomarano si può raggiungere il tratturo Celano-Foggia, uno dei più interessanti
e ben tenuti tratturi del Sud Italia.
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