La tappa del Matese pedemontano
Il tracciato si svolge interamente su sentieri, piste erbose, viottoli che ricalcano in gran parte tracce utilizzate dagli animali al pascolo e sentieri di vecchia data. Percorso nel primo tratto di grande panoramicità, la visione a 360 gradi spazia senza ostacoli ad osservare l'intera catena delle Mainarde ed il gruppo de La Meta, territori del P.N.A.L.M., la Maiella, altro Parco Nazionale, catene montuose che fanno
da sfondo alla pianura del Volturno, del Cavalieree e della Vandra. Si cammina facilmente dopo aver superato la difficoltà iniziale per la forte pendenza e del dislivello, da quota 427, a quota 900 ma su pera bile con un po' di buona volontà. Ma dopo questo strappo iniziale si prosegue senza difficoltrà fra boschi, prati, vallocchie erbose in cui pascola il bestiame.
Tratti di selciato, una serie di aie in punti strategici, casette nascoste fra le pieghe delle rocce, i resti di uno stazzo in alto che si staglia nel cielo, un ricovero a trullo in pietrame a secco formano un museo all'aperto della cultura della pietra e della civiltà agro-pastorale che testimonia la fatica, dimenticata e non comprensibile al giorno d'oggi, nel ricavare terrazza menti con piccoli lembi di terra coltiva bile su pendici
sassose. Alla Fonte Portella, a quota BOOm slm, si giunge con un sentierino fra boschi di latifoglie per poi scendere verso Sant'Agapito con un vecchio tracciato comunale in un bosco ceduo superando la parete rocciosa ros- sastra; il panorama si apre ora sulla zona di Isernia e sul Matese campobassano. Dalla piazza del paese si osserva la stupenda e selvaggia gola del Fiume Lorda.
La discesa non è terminata, si continua sino a raggiungere il fiume con un sentiero erboso, per guadarlo; il tracciato adesso presenta difficoltà perchè ci si inerpica su cengie, fra balzi e pareti a strapiombo sino a rag- giungere guglie rocciose isolate dalla cui sommità si ammira lo spettacolo del corso del fiume, prossima area naturale da gestire con Italia Nostra, che si snoda tortuosamente fra alti pareti. In sommità la cinta sannitica di Monte Saraceno da dove scendere con facilità a Longano, passando accanto ai resti della fortificazione medioevale ove sono in atto lavori di recupero. |
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L'ITINERARIO |
ALBUM
(a cura di MAURIZIO GERMANO) |
MONTERODUNI, Durante la dominazione longobarda, normanna e sveva, Monteroduni fu feudo della Casa comitale di Molise, che la riteneva come una delle maggiori fortezze della contea. All’avvento della monarchia angioina, Carlo I concesse in feudo Monteroduni ad Eustachio d’Ardicourt, gentiluomo francese venuto negli eserciti di conquista. Nel 1297 avendo lo stesso Re bandita la rassegna dei titoli per tutti i feudi del reame a giustifica del legittimo possesso, Eustachio e il figlio Adamo si resero renitenti, così gli Ardicourt vennero privati del feudo, e questo fu devoluto al demanio. Nel1281 Monteroduni divenne terra feudale degli Evoli Conti di Trivento. La famiglia d’Evoli alienò o perse il feudo durante il regno di Roberto d’Angiò. Anteriormente al 1326 Monteroduni passò in dominio della famiglia de Sus: e nel 1326, per morte di Pietro de Sus fu devoluta al demanio. Così Re Roberto, con diploma 6 giugno 1333, assegnò Monteroduni alla regina Sancia, sua consorte.
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MONTERODUNI - SANT'AGAPITO |
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SANT'AGAPITO, Il Comune prende il nome da una chiesa che formò il primitivo nucleo dell’abitato, dedicata a S. Agapito, cittadino e patrono di Preneste. Sant’Agapito faceva parte della Contea d’Isernia nel periodo longobardo mentre nel XII secolo divenne feudo di una famiglia omonima. Nella prima metà del secolo XV, il paese fu dominio dei Gaetani. Giovannantonio Gaetani, il quale apparteneva alla famiglia comitale di Trivento, nel 1444 vendette il feudo ad Antonio d’Affitto per 4.200 ducati. Nella prima metà del secolo XIV Sant’Agapito era intestata alla famiglia de Storrente, ma dal 1555 entrò in possesso di Gianfranco de Angelis di Teano. Nella prima metà del secolo XVII Sant’Agapito passò in dominio della famiglia Provenzale. Da questi, nel secolo XVIII, passò in feudo con titolo marchesale ai Caracciolo del ramo dei Pisquizi. |
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LONGANO, Lo stemma comunale porta nel campo ”l’euscorpius europaeus”, uno scorpione. Il dato più remoto che ci sia noto è relativo al 1269, allorché Carlo I d’Angiò la diede in feudo a Bertrando Bucca. Alla fine del secolo XIII Longano divenne feudo della famiglia Capuano, Tommaso Capuano, morto nel 1284, assegnò Longano alla propria figlia Francesca in occasione delle sue nozze con Filippo di Luparia. Nel 1330 Francesca di Luparia permutò Longano con Morrone e Castiglione. Verso il 1390 Longano passò in dominio dalla famiglia d’Isernia a quella dei Gaetani; e poi successivamente ai d’Evoli, ai Ruffo, ed agli Spinelli. Nella seconda metà del secolo XV Longano era intestata alla stirpe dei Galeota. La famiglia Perez tenne la signoria di Longano nella prima metà del secolo XVI. Nel 1541 Camillo Gaetani vendette il feudo a Fabrizio del Tufo col patto del retrovendendo. Niccolò Maiorana dopo essersi fatto cedere dal Gaetani il diritto della retrovendita lo esercitò contro il del tufo; e nel 1544 vendette il feudo riscattato a Berardino di Somaya per 4.500 ducati. Nel 1716 Longano ebbe l’ultimo trapasso feudale dai Galluccio agli Zona. La famiglia Zona fu signora di Longano forse sino all’epoca dell’eversione della feudalità. |
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