EDIZIONE 1999


IL PERCORSO

FILIGNANO - CERASUOLO - SCAPOLI - ROCCHETTA al VOLTURNO

LE CARATTERISTICHE

- lunghezza Km 22
- tempo percorrenza ore 6

- quota partenza 490 m. slm
- quota arrivo 550 m. slm
- quota max. 850 m. slm

 

IL RACCONTO
di

Claudio Di Cerbo

Foto a cura di ALFREDO CIAMARRA

IL DIARIO
(cavalcando insieme ai marciatori)
di Lino Mastronardi

TAPPA N2

FILIGNANO - CERASUOLO - SCAPOLI -
ROCCHETTA AL VOLTURNO

LUNGHEZZA:km.22
TEMPO PERCORSO: ore6
QUOTA max:mt. 850 slm
QUOTA min:mt. 480 slm
QUOTA PARTENZA:mt. 490 slm
QUOTA ARRIVO:mt. 550 slm

Il secondo giorno partenza in perfetto orario; per giungere a Selvone si può percorrere un sentiero delimitato da muretti in pietrame a secco, che, sviluppandosi per circa due chilometri a mezza costa, dalla borgata di Collemacchia sbuca sotto le case di Cerreto.
Nella zonadi Selvone si può osservare l’innesto di architetturecon caratteridi quelle del nord della Francia, estranee alla tipologia locale, ma tutte ben curate anche nelle sistemazioni esterne; molti sono, infatti, gli emigrati che dai paesi del nord Europa in cui vivono ne hanno importato i caratteri architettonici.
Lungo tutto il percorso ammiriamo una serie di edicole: sono una caratteristica del territorio, alcune ben tenute, altre abbandonate lungo antichi sentieri.
Scapoli si incunea con il suo territorio, avvolgendo quello di Filignano ed ostruendolo con una lunga lingua verso il confine con il Lazio e Pantano che noi scorgiamo sulla destra, proprio di fronte a Selvone, ne è una testimonianza.
Siamo in pieno territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo e da Selvone imbocchiamo la stradina che “porta” alle attrezzature sportive situate ad un centinaio di metri oltre il piccolo agglomerato di Pantano, che trae origine dalla caratteristica orografica del posto. Il “lagone”, così è chiamata la vallata, un pantano che a volte nei mesi autunnali si ricopre di acqua assumendo l’aspetto di un acquitrino in cui si riflettono le cime dei monti circostanti e di quella più isolata di Monte Pantano (m. 1117), questo è attraversato da una stradina dal fondo bianco, che segna il confine amministrativo fra i due comuni, fra il verde della rigogliosa vegetazione che non soffre per la mancanza di acqua.
Si imbocca, dopo aver oltrepassato la provinciale,un sentiero, poco oltre l’abitato di Mennella, ove abita Alessandro che da tempo si preoccupa dei problemi ambientali della zona ed amico di Piergiorgio, costantemente silenzioso ma sempre attento con gli occhi che scrutano alla ricerca di eventuali aggressioni alla natura. Quella che percorriamo è una stradina bianca che scende versoil letto del Rio Chiaro, un fiume in cui non scorrono più le acque che deviate hanno preso la strada a scopi idroelettriciper il vicino Lazio.
Il gruppo si raduna nello spazio antistante i resti del mulino ad acqua, uno dei tanti le cui macine venivano azionate dalle acque del Rio. Verso le sorgenti vi sono una serie di mulini in lineache presuppongono un’organizzazione in grado di gestire con curale acque e sono testimonianza del tipo di coltivazione a frumento sviluppato in zona.
Iniziamo il percorso nel letto asciutto, framassi e ciottoli candidi; ci troviamo in un ambiente unico e attraente di aspetto selvaggio, con le pareti spesso a picco, però rovinato a tratti perché il letto è stato trasformato in una pista adatta per i trattori usati per il trasporto del legname che i boscaioli ricavano dal versante sulla nostra destra.
Siamo completamente“immersi” nella natura. La flora è ricca di fiori di vetro o belle di giorno, con gli splendidi colori rosa tenue, che si sprigionano a mazzetti fra le pietre, mentre la vegetazione disalici, cercidi, maggiociondoli a tratti si fa più densa ed intrigante nascondendo il greto ed ostacolando il passaggio; il fresco è veramente piacevole.
Il tratto affascinante viene percorsoper circa due chilometri per poi risalire, in prossimità di una vecchia discarica, sulla soprastante provinciale, che anche se vicina, non se ne percepiva la vicinanza; la risalita difficoltosa per alcune “avventuriere” privi di pedule adatte ci porta poco prima dell’abitato di Cerasuolo.
Ci ritroviamoin corrispondenza di due cappellineposte sulla nostra sinistra proprio al limite della provinciale;per proseguire si imbocca un sentierino il cui accesso nascosto è posto di fronte alle stesse. Sino a Cerasuolo è un percorso breve, che inizia fra una rigogliosa vegetazione di alte felci e si trasformapoco oltre in unamulattiera con il fondo ancora in parte “zeppato”,all’ombra della folta vegetazione che scorre sopra il marginedestro dello stesso Rio Chiaro.
I Promessi Sposi vengono rievocati da Rosalba, quando attraversato il Rio con un piccolo ponticello in pietrame, sulla parte opposta appare ancora un’altra edicola religiosa, nascosta fra la vegetazione di maggiociondoli con una immagine in ceramica della Madonna del Carmine ancora ben conservata così come i muretti in pietramea secco che si prolunganoper delimitare il sentiero.
A Cerasuolo Alfredo, copia del giornalista “Paternostro” in versione sahariana, accenna alle antiche origini dell’abitato, quello però posto più in alto ed abbandonato, affini con Duronia; si percorre la prima parte dell’abitato sino ad una chiesettadi cui ci apparela parte frontale che si lascia sulla sinistra perimboccare un sentierino e, subito dopo, sempre alla sinistra di un vecchio lavatoio, si oltrepassa di nuovo il Rio con altro ponticello in pietrame, qui sono visibili i resti di una piccola discarica che rende degradato il caratteristico ambiente. Si percorre da qui la strada sino al curvone dove una vasca da bagno è utilizzatacome abbeveratoio e dovescorre fresca acqua.
Conviene dissetarsi perché inizia il tratto in salita, un’antica strada comunale ben conservata, che sale sino al segnale corrispondente al Km. 48 della provinciale che appare poco oltre sulla sinistra. Senza lasciare il sentierino che volta verso destra si sale fino alla quota850di CosteCarbonifere.
Da qui si presenta l’abitato di Cerasuolo con gli edifici allineati lunga la provinciale completamente immerso nel verde e con la cima di Monte Pantano, poco distante, che svetta isolata.
Veramente prima di proseguire ritorniamo un poco sui nostri passi alla ricerca della “dispersa” Rosaria, sempre in simbiosi con lo zaino, come gli astronauti nello spazio, chenon esitaa perdereogni occasionepereffettuare tragitti a piedi.
Nei giorni precedenti, durante i sopralluoghi con Marco e Domenico, per la verifica dell’attuale transitabilità del tracciato, siamo rimasti affascinati dalla visione dellanotevole pratica del parapendioe dal passaggio di circa una decina di alianti che, sbucati all’improvviso oltre le cime degli alberi, provenienti da sud “schiaffeggiando” l’aria e inanellando giri su giri, sfruttano la “termica” guadagnando quota per superare le cime delle Mainarde.
A Costa Carbonifera, il nome stesso indica l’attivitàsvolta dai carbonai, non esiste un sentiero ben individuabile, ma percorrendo qualche traccia appena accennata fra lafolta vegetazione di carpini, querce, maggiociondoli, ornelli, si riesce a scendere rapidamente a valle per incrociare la stradinache conduce con facilità a Fonte Costanza; una serie di case che si “snocciolano” lungo la stessa. La borgata è sede delle famose botteghe per la produzione delle zampogne, piccoli “buccicattoli” in cui valenti artigiani con pochi e semplici strumenti ma con tantamaestria ricavano dai legni del posto -ulivo e ciliegio oltre le canne - l’antichissimo strumento musicale.
A Scapoli, con il Sindaco neo - eletto, ci viene incontro Antonietta, factotum del Circolo della Zampogna. Tra le iniziative, che riesce a gestire in modo proficuo, ha creato in una struttura, il Museo Internazionale e Mostra permanente della Zampogna; è possibile rendersene conto visitando l’attrezzato museo a lato della piazza, realizzata in tempi recenti e sulla quale qualche dissenso va espresso.
Cammina, Molise! si prefigge anche il compito di fare osservare le trasformazioni del territorio e dei monumenti e di proporre azioni di salvaguardia per la conservazione della tradizione anche in campo architettonico e difar apprezzare le tipologie ed imateriali locali.
La piazza del paese, in effetti non è un buon esempio sia per il granito, completamente estraneo, utilizzato per la pavimentazione andata già in rovina, sia per ilvoluminoso corpo estraneo che guasta l’aspetto dell’intero centro storico.
Le piazze realizzate in tempi recentie che non sono “sentite” dalla popolazione locale, si trasformano in ambienti asettici come quelli di una casa nuova ma priva degli oggetti più conosciuti e più cari. Diventano un luogo di raccoltasolo per determinatee sporadiche situazioni. Ne è conferma il fatto cheil gruppo rimane a fare sostanell’antico spazio della piazza come se la nuova fosse un corpo estraneo.
Il rinfrescoviene offerto nel livello seminterrato della piazza, panini e dolci locali, convisione verso Rocchetta Altache appare poco distante.
Quando si ripartela direzione è verso questo abitato “disabitato” ma abbiamo ritenuto conveniente ed interessante effettuare una “capatina” alla chiesa di S.Maria delle Grotte, un monumento poco conosciuto ma certamentemeritevoledi essere apprezzato, di origine antichissima, il“Chronicon Volturnense”ne fa risalire la edificazione all’anno 824 ad opera dell’abate Epifanio.
Ad attenderci, nonostante le due ore di ritardo, il presidente della pro-loco Di Paolo, la guida Giannini ed il ParrocoDon Vincenzo.
Il santuario la cui è posto lungo il collegamento che univa le due Abbazie di Montecassino e S. Vincenzo al Volturno.
Ritengo che la scelta sia stata appropriata, oltretutto nello spirito del “cammina, Molise!”far conoscerei monumenti “minori” e me ne dà conferma lo stuporee la meraviglia dei camminatori alla vista delle decorazioni e degli affreschi e il rammarico per la vista degli interventi effettuati ed i danni provocati con i numerosi segnidi spicconatura sugli affreschi per meglio far aderire l’intonaco quando fu deciso di imbiancare il tutto; stesse operazionigià avvenute in altri templi come ad esempio in S. Nicola di Vastogirardi.
Il restauro degli ultimi anni ha liberato gli affreschi dall’intonaco riportando alla luce intere pareti dipinte e le splendide figure di santi; forse qualche critica va alla pavimentazione recentemente appostacheha modificato parzialmente la quota del piano di posa.
Il sapiente uso della pietra locale, “alabastro locale” per la trasparenza che si nota in controluce sulla finestra, viene sottolineataad Alfredo - “se il mondo cade mi scanso”- , con soddisfazione da Don Vincenzo, con il quale però ho qualche diverbio di vedute in relazione agli interventi ed all’utilizzazione dei fondi del Giubileo 2000.
Quando si riparte utilizziamola strada che sale verso il Palazzo Battiloro - “robusto” edificio a pianta quadrata con colombaia sulla torretta - e, qualcuno, in relazione alla differenza di mole con le abitazioni del posto,fa notare che unedificio del genere incuteva all’epoca rispetto ai “villici” che si avvicinavano, bussando solo con i piedi, dovendo le mani essere occupate.
L’esperta guida durante il cammino sisofferma a dare spiegazioni suBactaria, sulla origine e sulle recentissime ed antichissime testimonianze scopertecome quelle relative ad uno dei primiinsediamenti sul colle Battariaappena soprastante.
Il tracciato attraversa uliveti di recente impianto offrendo sulla sinistra la vista diScapoli e delle Mainarde sulla sinistra, di fronteappare netto il vecchio nucleo di Rocchetta con le case dello stesso colore grigiodella roccia, che si staglia fra il verde della vegetazione.
L’abitato è un giacimento di stratificazioni storiche dalle più recenti, risalenti al ventennio fascista o quelle dell’epoca del XII secolo o successive, come la chiesa, già presente nel 1425 come leggesi sull’architrave.
Da quando la visitai per la prima volta, oltre 20 anni fa, molto è scomparso. Sono state disperse le suppellettili abbandonate, materiale da raccogliere in un museo per consentire di osservare le funzioni e la vita del passato e, recentemente, asportati anche gli stipiti in pietra; quando faccio notare una chiave d’arco con effigiata una macchina da cucire e forbice spiritosamente, qualche sagace osservatore mormora che quella era l’abitazione della pettegola del paese abituata a tagliare ed a cucire, a suo modo.
Cianciulli,il “Fanciullo”,unalto esperto per le antiche tecniche costruttive, pantaloncini corti per rispettare la sua statura, veramente un “puttino” di epoca rinascimentale se non fosse per qualche capello mancante, dall’alto della gradinata riesce a sovrastare finalmente tutti, e si sentirebbe parte integrantedel agglomerato per l’interesse che prova.
L’abitato, un tutt’uno con lo sperone roccioso su cui sorge, assume lo stesso colore e guardato in controluce si completa con i profili delle case che sembrano plasmate sulla roccia i tratti superficiali. Si nota che è stato effettuato unrecupero di un primo edificio che anche se ben eseguito ora sembra privo di “phatos”.
Completato il percorso perimetrale, si passa sotto l’imponente ripida parete Est, sul cui strapiombo rimangono i resti del castello, qui è evidente l’innesto del serbatoio dell’acquedotto (perché realizzare il serbatoio proprio in quella posizione al di sotto della parete rocciosadel castello, in modo ben visibile, senza la benché minima integrazione con l’ambiente circostante, disturbando la visione dell’intero scorcio?)
Si arriva alla sorgenti solo dopo 15 minuti con un sentiero che segue la traccia realizzata per l’acquedotto, qui ci attende una rappresentante del gentil sesso, a piedi scalzi, novella Sandy Show, (per i più giovani, idolo canoro di qualche tempo fa) e ci riceve con schiettezza e con freschezza come i cocomeri posti nell’acqua del fontanile.
Con una cerimonia “prataiola” da parte dell’A.I.I.G.vengono “affibbiate” le nummarelle (Cianciulli, ricordacomei modernimattoniin laterizio hanno conservato, in sostanza, le stese dimensioni in spessore - 6, 8 e 12 centimetri -, precisazione valida per qualche alunno lì presente): sono fortunato perché consentita soddisfazione me ne toccano due. La simpatica edoriginale premiazioneprevede anche la pietra di Guardialfiera, una pietra che presenta caratteristiche da valorizzare nella produzione di oggetti d’arte e di arredo per le venature e la struttura presentate.
Siamo alla sorgente del Volturno, luogo chiamato Capo d’acqua, e il laghetto, le cuitrasparenti acque sorgivesono rinforzate da quelle provenienti dal lago di Castel S.Vincenzo, costituisce una nicchia ecologicae di rifugio per la numerosa avifauna presente. Nelle acque limpide e tranquille si rispecchiano gli alberi di nocciolo, maggiociondolo e le cime soprastanti.
Un’oasi di tranquillità che ben si addice ai monumentidella vicina abbazia di S. Vincenzo al Volturno distante poco più di un chilometro. La visita all’Abbazia suscita in alcuni qualche perplessità per i lavori in atto, relativamente alla scelta di alcuni materiali.
Rimasto fuori dall’edificio religioso con Marco ci fa compagnia Fabrizia “tuttopepe” di undici anniche ha camminato per tutto il tragitto, e che ci racconta qualche barzelletta un po’ birichina.

 

Lunedì 9.8.1999

Decidiamo di partire all’alba per evitare la calura del giorno. Per cui sveglia alle ore 6.00, colazione alle ore 6.30, partenza alle ore 7.30. Dopo la splendida cena della sera prima, della signora Carlotta, è stata un po’ difficile la sveglia. La notte è però passata tranquilla e i cavalli non hanno dato dei problemi.
Scendiamo al ponte della Vandra, subito dopo aver imboccato il Tratturo Castel di Sangro-Lucera, lato Castel di Sangro. Attacchiamo la salita verso l’Acqua dei Ranci, dove arriviamo dopo circa un’ora dalla partenza. Imbocchiamo, al bivio del Casino Pece, la strada che scende a Forlì del Sannio, dove arriviamo, lungo l’antico tratturello che portava da Forlì in discesa fino al ponte sulla Vandrella, affluente di sinistra del Volturno, e risaliamo la costa del Convento vecchio. Arriviamo al terzo grande tratturo interessato dal percorso: il Pescasseroli-Candela. Qui cerchiamo Acquaviva di Isernia.
Prendiamo però, a sinistra, dopo essere riusciti dal bosco del Monte, e festeggiato l’inaugurazione di tale percorso con tre urrà, urlati a gola aperta un po’ per sfottò, un po’ per gioia. Incontriamo una campagnola della Forestale, in servizio per il taglio di un bosco sulla cima del crinale e in fondo ad un rettifilo devio a destra, seguendo le indicazioni di un uomo del posto che, ubriaco, cercava di spiegarmi, nei giorni di visita precedenti e quelli di svolgimento del trekking, che lì sarei dovuto andare sempre a sinistra un sentiero, appena accennato, continuava a salire. In effetti era giusto e per andare a Foresta (frazione di Cerro al Volturno) avremmo dovuto imboccarlo e continuare poi a destra la discesa verso foresta evitando le pericolose forre del sottostante Vallone delle Mandre.
Ripieghiamo, dopo esserci consigliati, per una stradina bianca che porta ad Acquaviva di Isernia. Troviamo, fortunatamente, nascosta dai rovi, sotto una curva, una fontanina che appena lascia colare un filo d’acqua freschissimo che sazia parzialmente, i cavalli in fila per bere a turno.
Continuiamo a scendere e troviamo un abbeveratoio ma l’acqua è stagnante. Dopo averla assaggiata i cavalli rifiutano di bere. Decido di fermare il gruppo sotto un boschetto di querciole dopo aver legato in un campo, i cavalli alla corda. Apriamo le colazioni al sacco e io, con la scusa di andare al bar a comprare qualcosa di fresco, decido di ispezionare, ancora una volta, il vallone. Incontro una giovane Appuntato della Forestale che, messosi a disposizione, mi dà alcune informazioni, vaghe, per la verità, confermando così la difficoltà di trovare un passaggio diretto a valle del Vallone. Occorre passare, per forza, per raggiungere Foresta, a monte del Colle Ciucchetta. Come un cinghiale perseguitato dai cani, entro nei rovi, scendo al torrente per una costa acclive e accidentata: niente. È impossibile attraversare la forra. Dopo circa un’ora, esausto rientro al campo. Riposiamo ancora dieci minuti, mangiamo i panini della colazione al sacco, e poi decidiamo di percorrere la statale 86 che porta a Cerro da Acquaviva. Ogni ulteriore indicazione dei vecchi della zona scoraggia la possibilità di attraversare il Vallone delle Mandre. Alle 17.30 siamo a Foresta dove ci aspetta una piccola folla di curiosi, di bimbi, di cittadini per vedere i cavalli. Splendidi i nostri cavalli, resistenti, umili e disponibili a lavorare in tali estreme situazioni. Li leghiamo alle corde a loro volta legate tra le querciole dell’area recitata messaci a disposizione da Michele di Cerro al Volturno e poi ci organizziamo per la serata (Ricovero in albergo tramite navetta, presso l’albergo Volturno, alla riva del Volturno nei pressi di Colli al Volturno).

Riepilogo: Ore 10-Km 45.

Copyright: A.C. "La Terra"

Editrice de la vianova, periodico molisano di informazione, ed organizzatrice della manifestazione naturalistica e socio-culturale cammina, Molise!