TAPPA N2
FILIGNANO - CERASUOLO - SCAPOLI -
ROCCHETTA AL VOLTURNO
LUNGHEZZA:km.22
TEMPO
PERCORSO: ore6
QUOTA
max:mt. 850 slm
QUOTA
min:mt. 480 slm
QUOTA
PARTENZA:mt. 490 slm
QUOTA
ARRIVO:mt. 550 slm
Il secondo
giorno partenza in perfetto orario; per giungere a Selvone
si può percorrere
un sentiero delimitato da muretti in pietrame a secco, che,
sviluppandosi per circa due chilometri a mezza costa, dalla
borgata di Collemacchia sbuca sotto le case di Cerreto.
Nella
zonadi Selvone si può osservare l’innesto
di architetturecon caratteridi quelle del nord della Francia,
estranee alla tipologia locale, ma tutte ben curate anche nelle
sistemazioni esterne; molti sono, infatti, gli emigrati che
dai paesi del nord Europa in cui vivono ne hanno importato
i caratteri architettonici.
Lungo
tutto il percorso ammiriamo una serie di edicole: sono una
caratteristica del territorio, alcune ben tenute, altre abbandonate
lungo antichi sentieri.
Scapoli
si incunea con il suo territorio, avvolgendo quello di Filignano
ed ostruendolo con una lunga lingua verso il confine con
il Lazio e Pantano che noi scorgiamo sulla destra, proprio
di fronte a Selvone, ne è una testimonianza.
Siamo
in pieno territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo
e da Selvone imbocchiamo la stradina che “porta” alle
attrezzature sportive situate ad un centinaio di metri oltre
il piccolo agglomerato di Pantano, che trae origine dalla caratteristica
orografica del posto. Il “lagone”, così è chiamata
la vallata, un pantano che a volte nei mesi autunnali si ricopre
di acqua assumendo l’aspetto di un acquitrino in cui
si riflettono le cime dei monti circostanti e di quella più isolata
di Monte Pantano (m. 1117), questo è attraversato da
una stradina dal fondo bianco, che segna il confine amministrativo
fra i due comuni, fra il verde della rigogliosa vegetazione
che non soffre per la mancanza di acqua.
Si
imbocca, dopo aver oltrepassato la provinciale,un sentiero,
poco oltre l’abitato di Mennella, ove abita Alessandro
che da tempo si preoccupa dei problemi ambientali della zona
ed amico di Piergiorgio, costantemente silenzioso ma sempre
attento con gli occhi che scrutano alla ricerca di eventuali
aggressioni alla natura. Quella che percorriamo è una
stradina bianca che scende versoil letto del Rio Chiaro, un
fiume in cui non scorrono più le acque che deviate hanno
preso la strada a scopi idroelettriciper il vicino Lazio.
Il
gruppo si raduna nello spazio antistante i resti del mulino
ad acqua, uno dei tanti le cui macine venivano azionate dalle
acque del Rio. Verso le sorgenti vi sono una serie di mulini
in lineache presuppongono un’organizzazione in grado
di gestire con curale acque e sono testimonianza del tipo di
coltivazione a frumento sviluppato in zona.
Iniziamo
il percorso nel letto asciutto, framassi e ciottoli candidi;
ci troviamo in un ambiente unico e attraente di aspetto selvaggio,
con le pareti spesso a picco, però rovinato
a tratti perché il letto è stato trasformato
in una pista adatta per i trattori usati per il trasporto del
legname che i boscaioli ricavano dal versante sulla nostra
destra.
Siamo
completamente“immersi” nella natura. La
flora è ricca di fiori di vetro o belle di giorno, con
gli splendidi colori rosa tenue, che si sprigionano a mazzetti
fra le pietre, mentre la vegetazione disalici, cercidi, maggiociondoli
a tratti si fa più densa ed intrigante nascondendo il
greto ed ostacolando il passaggio; il fresco è veramente
piacevole.
Il
tratto affascinante viene percorsoper circa due chilometri
per poi risalire, in prossimità di una vecchia discarica,
sulla soprastante provinciale, che anche se vicina, non se
ne percepiva la vicinanza; la risalita difficoltosa per alcune “avventuriere” privi
di pedule adatte ci porta poco prima dell’abitato di
Cerasuolo.
Ci
ritroviamoin corrispondenza di due cappellineposte sulla
nostra sinistra proprio al limite della provinciale;per proseguire
si imbocca un sentierino il cui accesso nascosto è posto
di fronte alle stesse. Sino a Cerasuolo è un percorso
breve, che inizia fra una rigogliosa vegetazione di alte
felci e si trasformapoco oltre in unamulattiera con il
fondo ancora in parte “zeppato”,all’ombra
della folta vegetazione che scorre sopra il marginedestro
dello stesso Rio Chiaro.
I
Promessi Sposi vengono rievocati da Rosalba, quando attraversato
il Rio con un piccolo ponticello in pietrame, sulla parte
opposta appare ancora un’altra edicola religiosa,
nascosta fra la vegetazione di maggiociondoli con una immagine
in ceramica della Madonna del Carmine ancora ben conservata
così come
i muretti in pietramea secco che si prolunganoper delimitare
il sentiero.
A
Cerasuolo Alfredo, copia del giornalista “Paternostro” in
versione sahariana, accenna alle antiche origini dell’abitato,
quello però posto più in alto ed abbandonato,
affini con Duronia; si percorre la prima parte dell’abitato
sino ad una chiesettadi cui ci apparela parte frontale che
si lascia sulla sinistra perimboccare un sentierino e, subito
dopo, sempre alla sinistra di un vecchio lavatoio, si oltrepassa
di nuovo il Rio con altro ponticello in pietrame, qui sono
visibili i resti di una piccola discarica che rende degradato
il caratteristico ambiente. Si percorre da qui la strada sino
al curvone dove una vasca da bagno è utilizzatacome
abbeveratoio e dovescorre fresca acqua.
Conviene
dissetarsi perché inizia il tratto in salita,
un’antica strada comunale ben conservata, che sale sino
al segnale corrispondente al Km. 48 della provinciale che appare
poco oltre sulla sinistra. Senza lasciare il sentierino che
volta verso destra si sale fino alla quota850di CosteCarbonifere.
Da
qui si presenta l’abitato di Cerasuolo con gli edifici
allineati lunga la provinciale completamente immerso nel verde
e con la cima di Monte Pantano, poco distante, che svetta isolata.
Veramente
prima di proseguire ritorniamo un poco sui nostri passi alla
ricerca della “dispersa” Rosaria, sempre
in simbiosi con lo zaino, come gli astronauti nello spazio,
chenon esitaa perdereogni occasionepereffettuare tragitti a
piedi.
Nei
giorni precedenti, durante i sopralluoghi con Marco e Domenico,
per la verifica dell’attuale transitabilità del
tracciato, siamo rimasti affascinati dalla visione dellanotevole
pratica del parapendioe dal passaggio di circa una decina di
alianti che, sbucati all’improvviso oltre le cime degli
alberi, provenienti da sud “schiaffeggiando” l’aria
e inanellando giri su giri, sfruttano la “termica” guadagnando
quota per superare le cime delle Mainarde.
A
Costa Carbonifera, il nome stesso indica l’attivitàsvolta
dai carbonai, non esiste un sentiero ben individuabile, ma
percorrendo qualche traccia appena accennata fra lafolta vegetazione
di carpini, querce, maggiociondoli, ornelli, si riesce a scendere
rapidamente a valle per incrociare la stradinache conduce con
facilità a Fonte Costanza; una serie di case che si “snocciolano” lungo
la stessa. La borgata è sede delle famose botteghe per
la produzione delle zampogne, piccoli “buccicattoli” in
cui valenti artigiani con pochi e semplici strumenti ma con
tantamaestria ricavano dai legni del posto -ulivo e ciliegio
oltre le canne - l’antichissimo strumento musicale.
A
Scapoli, con il Sindaco neo - eletto, ci viene incontro Antonietta,
factotum del Circolo della Zampogna. Tra le iniziative, che
riesce a gestire in modo proficuo, ha creato in una struttura,
il Museo Internazionale e Mostra permanente della Zampogna; è possibile
rendersene conto visitando l’attrezzato museo a lato
della piazza, realizzata in tempi recenti e sulla quale qualche
dissenso va espresso.
Cammina,
Molise! si prefigge anche
il compito di fare osservare le trasformazioni del territorio
e dei monumenti e di proporre azioni di salvaguardia per la
conservazione della tradizione anche in campo architettonico
e difar apprezzare le tipologie ed imateriali locali.
La
piazza del paese, in effetti non è un buon esempio
sia per il granito, completamente estraneo, utilizzato per
la pavimentazione andata già in rovina, sia per ilvoluminoso
corpo estraneo che guasta l’aspetto dell’intero
centro storico.
Le
piazze realizzate in tempi recentie che non sono “sentite” dalla
popolazione locale, si trasformano in ambienti asettici come
quelli di una casa nuova ma priva degli oggetti più conosciuti
e più cari. Diventano un luogo di raccoltasolo per determinatee
sporadiche situazioni. Ne è conferma il fatto cheil
gruppo rimane a fare sostanell’antico spazio della piazza
come se la nuova fosse un corpo estraneo.
Il
rinfrescoviene offerto nel livello seminterrato della piazza,
panini e dolci locali, convisione verso Rocchetta Altache appare
poco distante.
Quando
si ripartela direzione è verso questo abitato “disabitato” ma
abbiamo ritenuto conveniente ed interessante effettuare una “capatina” alla
chiesa di S.Maria delle Grotte, un monumento poco conosciuto
ma certamentemeritevoledi essere apprezzato, di origine antichissima,
il“Chronicon Volturnense”ne fa risalire la edificazione
all’anno 824 ad opera dell’abate Epifanio.
Ad
attenderci, nonostante le due ore di ritardo, il presidente
della pro-loco Di Paolo, la guida Giannini ed il ParrocoDon
Vincenzo.
Il
santuario la cui è posto lungo il collegamento che
univa le due Abbazie di Montecassino e S. Vincenzo al Volturno.
Ritengo
che la scelta sia stata appropriata, oltretutto nello spirito
del “cammina, Molise!”far
conoscerei monumenti “minori” e me ne dà conferma
lo stuporee la meraviglia dei camminatori alla vista delle
decorazioni e degli affreschi e il rammarico per la vista degli
interventi effettuati ed i danni provocati con i numerosi segnidi
spicconatura sugli affreschi per meglio far aderire l’intonaco
quando fu deciso di imbiancare il tutto; stesse operazionigià avvenute
in altri templi come ad esempio in S. Nicola di Vastogirardi.
Il
restauro degli ultimi anni ha liberato gli affreschi dall’intonaco
riportando alla luce intere pareti dipinte e le splendide figure
di santi; forse qualche critica va alla pavimentazione recentemente
appostacheha modificato parzialmente la quota del piano di
posa.
Il
sapiente uso della pietra locale, “alabastro locale” per
la trasparenza che si nota in controluce sulla finestra, viene
sottolineataad Alfredo - “se il mondo cade mi scanso”-
, con soddisfazione da Don Vincenzo, con il quale però ho
qualche diverbio di vedute in relazione agli interventi ed
all’utilizzazione dei fondi del Giubileo 2000.
Quando
si riparte utilizziamola strada che sale verso il Palazzo
Battiloro - “robusto” edificio a pianta quadrata
con colombaia sulla torretta - e, qualcuno, in relazione alla
differenza di mole con le abitazioni del posto,fa notare che
unedificio del genere incuteva all’epoca rispetto ai “villici” che
si avvicinavano, bussando solo con i piedi, dovendo le mani
essere occupate.
L’esperta
guida durante il cammino sisofferma a dare spiegazioni suBactaria,
sulla origine e sulle recentissime ed antichissime testimonianze
scopertecome quelle relative ad uno dei primiinsediamenti
sul colle Battariaappena soprastante.
Il
tracciato attraversa uliveti di recente impianto offrendo sulla
sinistra la vista diScapoli e delle Mainarde sulla sinistra,
di fronteappare netto il vecchio nucleo di Rocchetta con le
case dello stesso colore grigiodella roccia, che si staglia
fra il verde della vegetazione.
L’abitato è un
giacimento di stratificazioni storiche dalle più recenti,
risalenti al ventennio fascista o quelle dell’epoca del
XII secolo o successive, come la chiesa, già presente
nel 1425 come leggesi sull’architrave.
Da
quando la visitai per la prima volta, oltre 20 anni fa, molto è scomparso.
Sono state disperse le suppellettili abbandonate, materiale
da raccogliere in un museo per consentire di osservare le funzioni
e la vita del passato e, recentemente, asportati anche gli
stipiti in pietra; quando faccio notare una chiave d’arco
con effigiata una macchina da cucire e forbice spiritosamente,
qualche sagace osservatore mormora che quella era l’abitazione
della pettegola del paese abituata a tagliare ed a cucire,
a suo modo.
Cianciulli,il “Fanciullo”,unalto
esperto per le antiche tecniche costruttive, pantaloncini corti
per rispettare la sua statura, veramente un “puttino” di
epoca rinascimentale se non fosse per qualche capello mancante,
dall’alto
della gradinata riesce a sovrastare finalmente tutti, e si
sentirebbe parte integrantedel agglomerato per l’interesse
che prova.
L’abitato,
un tutt’uno con lo sperone roccioso
su cui sorge, assume lo stesso colore e guardato in controluce
si completa con i profili delle case che sembrano plasmate
sulla roccia i tratti superficiali. Si nota che è stato
effettuato unrecupero di un primo edificio che anche se ben
eseguito ora sembra privo di “phatos”.
Completato
il percorso perimetrale, si passa sotto l’imponente
ripida parete Est, sul cui strapiombo rimangono i resti del
castello, qui è evidente l’innesto del serbatoio
dell’acquedotto (perché realizzare il serbatoio
proprio in quella posizione al di sotto della parete rocciosadel
castello, in modo ben visibile, senza la benché minima
integrazione con l’ambiente circostante, disturbando
la visione dell’intero scorcio?)
Si
arriva alla sorgenti solo dopo 15 minuti con un sentiero che
segue la traccia realizzata per l’acquedotto, qui
ci attende una rappresentante del gentil sesso, a piedi scalzi,
novella Sandy Show, (per i più giovani, idolo canoro
di qualche tempo fa) e ci riceve con schiettezza e con freschezza
come i cocomeri posti nell’acqua del fontanile.
Con
una cerimonia “prataiola” da parte dell’A.I.I.G.vengono “affibbiate” le
nummarelle (Cianciulli, ricordacomei modernimattoniin laterizio
hanno conservato, in sostanza, le stese dimensioni in spessore
- 6, 8 e 12 centimetri -, precisazione valida per qualche alunno
lì presente): sono fortunato perché consentita
soddisfazione me ne toccano due. La simpatica edoriginale premiazioneprevede
anche la pietra di Guardialfiera, una pietra che presenta caratteristiche
da valorizzare nella produzione di oggetti d’arte e di
arredo per le venature e la struttura presentate.
Siamo
alla sorgente del Volturno, luogo chiamato Capo d’acqua,
e il laghetto, le cuitrasparenti acque sorgivesono rinforzate
da quelle provenienti dal lago di Castel S.Vincenzo, costituisce
una nicchia ecologicae di rifugio per la numerosa avifauna
presente. Nelle acque limpide e tranquille si rispecchiano
gli alberi di nocciolo, maggiociondolo e le cime soprastanti.
Un’oasi
di tranquillità che ben si addice ai
monumentidella vicina abbazia di S. Vincenzo al Volturno
distante poco più di un chilometro. La visita all’Abbazia
suscita in alcuni qualche perplessità per i lavori
in atto, relativamente alla scelta di alcuni materiali.
Rimasto
fuori dall’edificio religioso con Marco ci fa
compagnia Fabrizia “tuttopepe” di undici anniche
ha camminato per tutto il tragitto, e che ci racconta qualche
barzelletta un po’ birichina.
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Lunedì 9.8.1999
Decidiamo
di partire all’alba per evitare la calura del giorno.
Per cui sveglia alle ore 6.00, colazione alle ore 6.30, partenza
alle ore 7.30. Dopo la splendida cena della sera prima, della
signora Carlotta, è stata un po’ difficile la
sveglia. La notte è però passata tranquilla
e i cavalli non hanno dato dei problemi.
Scendiamo
al ponte della Vandra, subito dopo aver imboccato il Tratturo
Castel di Sangro-Lucera, lato Castel di Sangro. Attacchiamo
la salita verso l’Acqua dei Ranci, dove arriviamo dopo
circa un’ora dalla partenza. Imbocchiamo, al bivio del
Casino Pece, la strada che scende a Forlì del Sannio,
dove arriviamo, lungo l’antico tratturello che portava
da Forlì in discesa fino al ponte sulla Vandrella, affluente
di sinistra del Volturno, e risaliamo la costa del Convento
vecchio. Arriviamo al terzo grande tratturo interessato dal
percorso: il Pescasseroli-Candela. Qui cerchiamo Acquaviva
di Isernia.
Prendiamo
però, a sinistra, dopo essere riusciti dal bosco del
Monte, e festeggiato l’inaugurazione di tale percorso
con tre urrà, urlati a gola aperta un po’ per
sfottò, un po’ per gioia. Incontriamo una campagnola
della Forestale, in servizio per il taglio di un bosco sulla
cima del crinale e in fondo ad un rettifilo devio a destra,
seguendo le indicazioni di un uomo del posto che, ubriaco,
cercava di spiegarmi, nei giorni di visita precedenti e quelli
di svolgimento del trekking, che lì sarei dovuto andare
sempre a sinistra un sentiero, appena accennato, continuava
a salire. In effetti era giusto e per andare a Foresta (frazione
di Cerro al Volturno) avremmo dovuto imboccarlo e continuare
poi a destra la discesa verso foresta evitando le pericolose
forre del sottostante Vallone delle Mandre.
Ripieghiamo,
dopo esserci consigliati, per una stradina bianca che porta
ad Acquaviva di Isernia. Troviamo, fortunatamente, nascosta
dai rovi, sotto una curva, una fontanina che appena lascia
colare un filo d’acqua freschissimo che sazia parzialmente,
i cavalli in fila per bere a turno.
Continuiamo
a scendere e troviamo un abbeveratoio ma l’acqua è stagnante.
Dopo averla assaggiata i cavalli rifiutano di bere. Decido
di fermare il gruppo sotto un boschetto di querciole dopo aver
legato in un campo, i cavalli alla corda. Apriamo le colazioni
al sacco e io, con la scusa di andare al bar a comprare qualcosa
di fresco, decido di ispezionare, ancora una volta, il vallone.
Incontro una giovane Appuntato della Forestale che, messosi
a disposizione, mi dà alcune informazioni, vaghe, per
la verità, confermando così la difficoltà di
trovare un passaggio diretto a valle del Vallone. Occorre passare,
per forza, per raggiungere Foresta, a monte del Colle Ciucchetta.
Come un cinghiale perseguitato dai cani, entro nei rovi, scendo
al torrente per una costa acclive e accidentata: niente. È impossibile
attraversare la forra. Dopo circa un’ora, esausto rientro
al campo. Riposiamo ancora dieci minuti, mangiamo i panini
della colazione al sacco, e poi decidiamo di percorrere la
statale 86 che porta a Cerro da Acquaviva. Ogni ulteriore indicazione
dei vecchi della zona scoraggia la possibilità di attraversare
il Vallone delle Mandre. Alle 17.30 siamo a Foresta dove ci
aspetta una piccola folla di curiosi, di bimbi, di cittadini
per vedere i cavalli. Splendidi i nostri cavalli, resistenti,
umili e disponibili a lavorare in tali estreme situazioni.
Li leghiamo alle corde a loro volta legate tra le querciole
dell’area recitata messaci a disposizione da Michele
di Cerro al Volturno e poi ci organizziamo per la serata (Ricovero
in albergo tramite navetta, presso l’albergo Volturno,
alla riva del Volturno nei pressi di Colli al Volturno).
Riepilogo:
Ore 10-Km 45.
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